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110 | don chisciotte |
“Molle qual è o forte, io vi offro il mio cuore: voi tagliatelo od imprimetevi quello che più vi piace, chi io giuro di custodirlo eternamente„.
Con un ahi tratto, per quanto sembrava, dall’intimo del cuore, diè fine al suo canto il cavaliere dal Bosco, e di lì a poco con dogliosa e compassionevole voce proruppe: “Oh la più bella e la più ingrata donna dell’orbe! come sarà egli possibile, serenissima Casildea di Vandalia, che ti piaccia di vedere consunto e sfinito in continue pellegrinazioni ed in aspri e crudeli travagli questo tuo schiavo cavaliere? Non basta a te ch’egli abbia costretto a dichiararti per la più bella donna del mondo i cavalieri tutti della Navarra, tutti quei di Leone, tutti i Tartesii, i Castigliani tutti, e finalmente tutti i cavalieri della Mancia? — Oh questo poi no, disse don Chisciotte a tal punto: io sono cavaliere della Mancia, e mai non feci tal confessione, nè posso nè devo farla a pregiudizio della bellezza della mia dama. Tu vedi, o Sancio, che quel cavaliere delira: ma ascoltiamo, che forse si spiegherà un poco più. — Sentiamolo pure, rispose Sancio, ma egli ha ciera di querelarsi per un mese a di lungo„. Così non passò la cosa, perchè avvedutosi il cavaliere dal Bosco che qualcuno stava favellando vicino a lui, senza più continuar nel suo lamento, si alzò, e con sonora e cortese voce, disse: — Chi è là? che gente siete? siete fra i contenti o fra i miseri? — Fra gl’infelici, rispose don Chisciotte. — Dunque venite a me, soggiunse quello dal Bosco, e in me troverete l’affanno e la tribolazione stessa in persona„. Udendosi don Chisciotte rispondere sì teneramente e con sì alta cortesia, si avvicinò a lui, e Sancio ancora. Il dolente cavaliere prese don Chisciotte per un braccio dicendogli: — Sedete qua, signor cavaliere, chè per conoscervi tale e per accorgermi che professate la errante cavalleria, bastami avervi ritrovato in questo luogo dove la solitudine e la serenità sono e compagni e piume naturali e veri soggiorni dei cavalieri erranti„. Cui don Chisciotte: — Cavaliere son io, e della professione che dite, e tuttochè abbiano sede lor propria nell’anima mia le afflizioni, le sciagure e gli affanni, non per questo mi rifiuto di sentire compassione per le sventure altrui. Dal tenore del vostro canto, che ho inteso, sono convinto che le vostre sono afflizioni innamorate: voglio dire che nascono dall’amore che vi accende per la bella ingrata che ricordate nei vostri sospiri„.
Stando in questo colloquio trovavansi già seduti sul nudo terreno in santa pace e in amichevole compagnia, come se allo spuntare dell’alba non avessero poi a maltrattarsi a vicenda. — Signor cavaliere, domandò a don Chisciotte quello dal Bosco, sareste voi