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capitolo xii | 107 |
l’abbia sentito mille e mille volte, come anche quello del giuoco degli scacchi, che mentre dura la partita ogni perno ha il suo offizio, ma terminata che sia, tutti si mescolano, si uniscono, si mutano e si cacciano in una borsa; ch’è lo stesso come la comparazione della vita che termina nella sepoltura. — Tu vai ogni giorno, o Sancio, disse don Chisciotte, diventando meno semplice e più giudizioso. — Batti e ribatti, rispose Sancio, ha da restarmi inchiodata bene in testa un poco della sapienza di vossignoria, poichè anche i terreni che sono sterili e senza umore nutritivo, a forza di mettervi buon letame, e di coltivarli, vengono a produrre buone frutta; e voglio inferire da questo che il conversare colla signoria vostra è stato il letame che ingrassò lo sterile terreno dell’infecondo mio ingegno; e la sollevazione del mio spirito la ripeto dal tempo in cui sono al suo servigio e converso con lei; e per tutte queste cose spero che un giorno darò frutta degne di benedizione, e tali che punto non isconvengano nè sdrucciolino fuori dalla strada delle buone creanze che vossignoria ha ora aperta al mio intelletto„. Si mise a ridere don Chisciotte delle studiate espressioni di Sancio, e gli sembrava anche vero ciò che dicea de’ suoi progressi, perchè parlava di tanto in tanto a modo che lo faceva restare maravigliato, quantunque non si possa dissimulare che il più delle volte co’ suoi discorsi di opposizione o alla cortigianesca precipitasse dal colmo della sua semplicità nel profondo della sua ignoranza. Quello in che si mostrava più elegante e memorativo era una profusione di proverbii; cadessero o no in acconcio al soggetto di cui trattavasi, come si andrà osservando nel corso di questa istoria.
In tali ed altri ragionamenti passarono gran parte della notte. Finalmente s’invogliò Sancio di lasciarsi cadere le cateratte sugli occhi (come soleva dir egli quando volea dormire); e però, levata all’asino la bardella, lo lasciò in pienissima libertà di andarsene al pascolo per lo prato. Non tolse la sella a Ronzinante per essere espresso comando del suo padrone che nel tempo in cui battessero la campagna, o dormissero allo scoperto, non lo sfornisse mai: vecchia costumanza stabilita e osservata dai cavalieri erranti. Levare la briglia e attaccarla all’arcione della sella, pazienza! ma togliere la sella al cavallo? guai! Così fece Sancio, e la libertà dell’asino potè essere comune a Ronzinante, la cui amicizia per l’asino fu sì unica e sì stretta che la fama ne corre per tradizione da padre a figliuolo; e l’autore di questa veridica istoria ne fece capitoli a parte, che non ha inseriti soltanto per voler essere geloso custode della decenza e del decoro dovuto a narrazioni sì eroiche. Ben è il vero che alcuna volta si dimentica di tale suo proposito, e scrive che