no, e non sentendo più il freno, si mise a correre per la campagna con tale velocità da non potersi mai supporre in una bestia ch’era un sacco di ossa. Sancio, che conobbe il pericolo in cui trovavasi il suo padrone, saltò giù dal leardo e corse ad assisterlo; ma quando il raggiunse egli era già in terra, e accanto a lui il cavallo che stramazzato era insieme col suo padrone: solito fine delle bizzarrie e delle prodezze di Ronzinante. Intanto che Sancio lasciata aveva la sua cavalcatura per aiutare don Chisciotte, quel demonio di ballerino dalle vesciche, saltato sopra il leardo, cominciò a percuoterlo quanto poteva con quel suo singolare strumento. Lo spavento ed il fracasso, piucchè il dolore dei colpi, lo fecero volare per la campagna fin là dove seguire doveva la festa. Guardava Sancio la gran carriera del suo leardo e la caduta del suo padrone, e stava irresoluto a quale dei due dovesse prima porgere aiuto: ma come leale scudiere e buon servidore sentì con maggior efficacia il debito verso il padrone che l’affetto pel suo asino, quantunque ogni volta che vedeva alzarsi nell’aria le vesciche e poi cadere sulle groppe dell’animale, fossero per lui le angosce della morte: avrebbe voluto che piombassero quei colpi sulle pupille degli occhi suoi piuttostochè sul più corto pelo della coda del suo giumento. In questa per-