e Sancio a rassettare ed a cinghiare la bardella ch’era andata sotto alla pancia dell’asina. Accomodata la bardella, e volendo don Chisciotte portare colle braccia la sua incantata signora sulla giumenta, la signora balzata in piedi, lo sollevò da quest’incarico, giacchè tirandosi un poco indietro, pigliò una corsa, e poste ambe le mani sulla groppa dell’asina vi saltò su col suo corpo leggiero più che falcone, e come se fosse stata uomo, rimase a cavalcioni. Sancio disse in quell’istante: — Viva Dio, che la signora nostra padrona è più snella di un gatto, e può essere maestra di ginetta al più pratico cordovese o messicano; ha trapassato di un salto sopra l’arcione della sella, e fa correre la chinea senza sproni come se fosse una capra salvatica; e non sono di manco le sue donzelle chè tutte corrono come il vento„. E dicea il vero, perchè subito che Dulcinea fu sull’asino, le sue compagne la seguitarono, e si misero a correre senza mai voltare la testa indietro per oltre una mezza lega. Don Chisciotte le seguitò coll’occhio, e quando più non le vide, voltosi a Sancio gli disse: — Sancio mio, e che ti sembra dell’odio che mi portano gl’incantatori? Guarda sin dove arriva la malizia e l’astio che mi hanno giurato, privandomi della soddisfazione che avrebbe potuto darmi il vedere la mia signora nel suo vero essere. Insomma io nacqui per diventare il modello degli sfortunati, e per essere il bersaglio e la mira a cui stanno rivolte le frecce dell’avversa fortuna. Hai da notare, o Sancio, che non si contentarono già questi traditori di trasfigurar Dulcinea per modo ch’io non la potessi più ravvisare, ma vollero anche mutarla e trasfigurarla in forma sì vile e sì brutta come era quella contadina, e le tolsero sin anche il distintivo proprio delle grandi signore, ch’è la gratissima fragranza di ambre e di fiori di cui sempre olezzano. E questo ti dico, perchè quando io volli aiutare Dulcinea a risalire sulla chinea (come tu dici, benchè a me parve asina) mi fece sentire un’esalazione di àgli crudi che mi appestò e attossicò tutto. — Ah canaglie! sclamò Sancio a tal punto, ah incantatori di mal augurio! ah maligni! che potessi tutti vedervi infilzati per la gola come tante sardelle: voi la sapete lunga, voi potete tutto quello che volete, e operate oltre ogni immaginazione: non dovea bastarvi, o ribaldi, di avere cambiate le perle degli occhi della mia signora in stranguglioni di sughero, e i suoi capelli di oro purissimo nelle setole della coda di un bue rosso, e finalmente tutte le sue bellissime fattezze in brulle e schifose senza impacciarvi anche nell’odorato? per toglierci così di fermarci a scoprire le vere bellezze sotto la deforme apparenza. Ma a dire il vero, io non ho scoperta in Dulcinea bruttezza alcuna: all’opposto una beltà che riceveva maggiori gradi e carati di