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76 | don chisciotte. |
desideroso di sapere con ogni leal verità la intiera vita e i prodigi del nostro famoso spagnuolo don Chisciotte della Mancia, luce e specchio della mancega cavalleria, ed il primo che nell’età nostra e in tempi sì disgraziati si applicasse all’esercizio ed al travaglio dell’arme cavalleresche, a disfar torti, a soccorrer vedove, a difender fanciulle, di quelle s’intende, che armate dello scudiscio sui loro palafreni andavano di monte in monte e di valle in valle con tutta la loro virginità; e se non era qualche malvagio cavaliere o villano armato o smisurato gigante che le oltraggiasse, benchè nel corso di ottant’anni alcune non dormissero mai una volta al coperto, pur sarebbero morte intatte come la madre che le avea partorite. Dico dunque, e per questo e per molti altri rispetti, che il nostro don Chisciotte è degno di memorabili ed eterne lodi; le quali a me pure sono dovute per averne con tanta cura cercata tutta intiera la dilettevole vita. Ringraziato sia il cielo e la buona fortuna, senza il cui favore al mondo sarebbe mancato lo squisito diletto che potrà gustare per quasi due ore chiunque voglia leggere con qualche attenzione. Or ecco di qual maniera mi riuscì di scoprirla.
Trovandomi un giorno nella strada di Alcanà in Toledo, capitò un giovanotto a vendere scartafacci vecchi ad un mercante di seta; ed io che ho per costume di leggere ogni pezzo di carta, anche di quelle che ritrovo per via, tratto da questo mio istinto presi uno degli scartafacci che il ragazzo vendeva, e vidi ch’era scritto in caratteri che riconobbi essere arabici. Ma non sapendo leggerli, mi posi in attenzione per vedere se passasse per quella strada qualche Morisco spagnolizzato, nè mi fu difficile ritrovare siffatto interprete; perciocchè andandomene in cerca ne avrei trovati anche di quelli per una lingua più antica e più santa1. In fine la sorte me ne presentò uno al quale spiegai il mio desiderio nell’atto di consegnargli il libro, ed egli lo aperse; e leggendone un poco si mise a ridere. Gli domandai perchè ridesse, ed egli mi rispose ch’era per causa di una annotazione scritta in un margine. Lo pregai che mi facesse sapere che cosa diceva, ed egli, ridendo ancor più, soggiunse: “In questo margine è scritto così: Si dice che questa Dulcinea del Toboso, nominata sì spesso nella presente opera, avesse miglior mano di ogn’altra donna della Mancia nell’insalare i porci. Quando intesi dire Dulcinea del Toboso rimasi attonito e fuori di me, persua-
- ↑ Vuol dire che non avrebbe durato fatica a trovar degli Ebrei in Toledo. — Chiamaronsi poi Morischi i discendenti degli Arabi e dei Mori rimasti nella Spagna dopo l’espugnazione di Granata e convertiti al cristianesimo.