Quando si recarono da don Chisciotte lo trovarono già fuori del letto che prorompeva nelle solite sue strida e pazzie, menando manrovesci da ogni parte, e tenendo sì spalancati gli occhi come se non avesse mai dormito. Lo abbracciarono e a viva forza lo rimisero a
letto; e da poi che si pose un po’ in calma, voltosi al curato, gli disse: “Non v’ha dubbio, signor arcivescovo Turpino, che non ricada a gran vergogna di noi altri dodici Paladini di lasciar cogliere la palma di questo torneo a’ cavalieri cortigiani, mentre noi venturieri colto avevamo nei tre dì antecedenti l’onore della vittoria. — Si dia pace la signoria vostra, signor compare, disse il curato, che piacendo a Dio cambieranno le cose, e quello che oggi si perde si guadagnerà dimani; attenda intanto a risanarsi, chè, per quanto mi pare, ella debb’essere affaticata oltremodo, se pure non è ferita pericolosamente. — Ferito no, disse don Chisciotte, ma sibbene macinato e pesto, perchè quel bastardo di don Roldano mi fracassò a bastonate con un troncone di quercia, mosso da invidia, vedendo ch’io solo mi posso contrapporre alla sua valentía; io per altro non sarò Rinaldo di Montalbano se levandomi di questo letto non gliene farò pagar il fio a dispetto de’ suoi incantamenti; ma intanto recatemi da