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capitolo v. | 45 |
in cerca di avventure. Così ne li portasse o Satanna, o Barabba cotesti libri, che hanno guasto e sconvolto il più fino cervello che vantar potesse la Mancia„. La nipote poi proseguiva dicendo le stesse cose, e aggiungeva di più: “Sappia, signor maestro Nicolò (questo era il nome del barbiere) che mille volte è avvenuto al mio signor zio di spendere nella lettura di questi maledetti libri due notti e due giorni continui; a capo dei quali gettavali poi da banda, e impugnata la spada andava a pigliarsela colle pareti; finchè stanco e spossato, dicea d’avere ammazzato quattro giganti grandi come quattro torri, e volea che fosse sangue delle ferite da lui ricevute in battaglia il sudore che lo copriva per la soverchia fatica. Dava allora di piglio ad un gran boccale d’acqua fresca, e se la beveva sin all’ultima goccia, con che risanava e rimettevasi in tranquillità; affermando che quell’acqua era una bevanda preziosissima, dono del savio Eschifo1, celebre incantatore e suo amico. Ah! debbo accusare me stessa di tanto male; chè se avessi informate le signorie vostre delle follie del mio signor zio, ci avrebbero posto rimedio prima che fosse giunto a questo termine; e que’ suoi scomunicati libri li avrebbero dati alle fiamme: chè molti ne ha certamente degni di essere abbruciati come i libri degli eresiarchi„. — Sono anch’io dello stesso avviso, soggiunse il curato, e vi giuro in fede mia, che non passerà dimani senza che averne fatto un auto-da-fè, dannandoli tutti al fuoco, affinchè non siano occasione a qualche altro di fare ciò che il mio povero amico debbe aver fatto„.
Don Chisciotte ed il contadino udirono siffatti discorsi; laonde quest’ultimo convinto intieramente della malattia del suo vicino, si diede a gridare: Facciano largo le signorie vostre al signor Baldovino, e al signor marchese di Mantova che arriva ferito pericolosamente; facciano largo al signor moro Aben-Darraez che trae seco prigione il prode Rodrigo di Narvaez castellano di Antechera„. A queste parole uscirono tutti e conobbero gli uni l’amico, le altre il il padrone e lo zio, che non aveva per anche potuto smontare dall’asino, tanto era malconcio. Corsero ad abbracciarlo, ma incontanente egli disse: “Fermatevi tutti, ch’io vengo malamente ferito per colpa del mio cavallo; mettetemi nel mio letto, e chiamate, se è possibile, la savia medichessa Urganda, affinchè vegga che sorta di ferite son queste mie. — Oh guardate mo, disse allora la serva, se il cuore mi diceva di che piede zoppica il mio padrone! Eh venga in buon’ora la signoria vostra, che da noi sole sapremo guarirla
- ↑ Propriamente Alchife, che scrisse la Cronaca di Amadigi di Grecia. Ma la nipote di don Chisciotte ne storpia il nome.