di Narvaez, lo prese e lo menò prigioniero al proprio castello. Di maniera che domandandolo ancora il villano dello stato suo, e come si sentisse della persona, gli rispose colle stesse parole con cui il prigioniero Aben-Darraez avea risposto a Rodrigo di Narvaez, applicando a sè stesso quanto avea letto nella Diana di Giorgio di Montemaggiore. Il contadino strabiliava sentendo tante bestialità, e finalmente avvedutosi che il suo vicino avea dato volta al cervello, si diede a punzecchiare il suo asino per tornar presto al paese, e togliersi con ciò dal malincuore che gli procurava don Chisciotte co’ suoi vaneggiamenti. Questi intanto così proruppe: “Sappia la signoria vostra, signor don Diego di Narvaez, che la vezzosa Seriffa, di cui ho parlato, è di presente la vaga Dulcinea del Toboso, per amor della quale io feci e faccio e farò le più famose gesta di cavalleria che siensi finora vedute, o si veggano, e si debbano mai vedere nel mondo„. A tutto questo soggiunse il contadino: “Oh la Signoria vostra s’inganna! meschino di me! io non sono altrimenti Rodrigo di Narvaez, nè il marchese di Mantova, ma sibbene Piero Alonso vicino suo; nè vossignoria è Baldovino o Aben-Darraez, ma l’onorato idalgo signor Chisciada. — Io sono chi sono, rispose don Chisciotte, e so molto bene che non solo posso essere quelli che ho detto, ma sì anche tutti i dodici paladini di Francia, ed eziandio tutti i Nove della Fama1, perchè le prodezze che fecero o tutti insieme o ciascuno da sè non supererebbero mai quelle che posso fare io solo„. Con queste e somiglianti smargiasserie giunsero alla Terra sul far della notte, e il contadino giudicò savio partito l’attendere che il bujo crescesse un poco affinchè non fosse veduto il bastonato idalgo così infelice cavaliere. Entrò finalmente nel paese, e fu all’abitazione di don Chisciotte, la quale era tutta sossopra. Vi si trovavano il curato ed il barbiere, ch’erano grandi amici di don Chisciotte, ai quali la serva con alta voce stava dicendo: “Che ne sembra a vostra signoria, signor dottore Pietro Perez (così chiamavasi il curato) della disgrazia del mio padrone? Sono già passati sei giorni da che nè egli si vede, nè il ronzino, nè la targa, nè la lancia, nè l’armatura; poveraccia di me! credo fermamente, e com’è certo ch’io sono nata per morire, che questi maledetti libri di cavalleria ch’egli ha e legge continuamente, l’abbiano fatto uscir di cervello; chè ora ben mi sovviene d’averlo inteso dire più volte, parlando fra sè medesimo, che bramava di farsi cavaliere errante e di andare pel mondo
- ↑ I Nove della Fama, sono tre ebrei, Giosuè, Davide e Giuda Macabeo; tre gentili, Ettore, Alessandro e Cesare; e tre cristiani, Arturo, Carlomagno e Goffredo di Buglione.