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546 | don chisciotte. |
sciotte mio, e ne diverrà erudito nella storia, innamorato della virtù, ammaestrato nella bontà, migliorato nei costumi, valoroso senza temerità, ardito senza audacia; e tutto ciò ad onore di Dio e ad utilità sua particolare, non meno che ad onore e gloria della Mancia, di dove, per quanto ho inteso, la signoria vostra trasse la sua origine.
Stette don Chisciotte attentissimo ad ascoltare il ragionamento del canonico, e quando vide che avea terminato, dopo averlo lungamente guardato in volto, gli disse: — Sembrami, signor cavaliere, che il suo discorso tenda a farmi credere che non abbiano avuto mai esistenza al mondo i cavalieri erranti, e che i libri tutti di cavalleria sieno falsi, bugiardi, nocivi ed inutili alla repubblica. Ella aggiunge ch’io ho fatto male nel leggerli e peggio nel prestarvi fede, e più male ancora nell’imitarli, intrapreso avendo di farmi seguace della durissima professione della errante cavalleria da essi insegnata; e nega che siano mai vissuti gli Amadigi o di Gaula, o di Grecia, o verun altro di quei cavalieri dei quali vanno piene le istorie. — Così per lo appunto, come va ripetendo la signoria vostra, rispose il canonico. Don Chisciotte allora soggiunse: — Vossignoria disse altresì che mi avranno recato molto danno siffatti libri coll’avermi fatto uscire di senno e ridotto ad essere rinserrato in una gabbia, e che sarebbe per me più saggio partito il farne l’ammenda, cambiando lettura ed applicandomi a quella di libri più utili, e da poterne trarre più istruzione e diletto. — Così è, disse il canonico. — Sappia, replicò don Chisciotte, che io tengo per fermo che ella e non io sia il pazzo e l’incantato, avendo proferite tante bestemmie contro una verità sì ricevuta nel mondo, e tenuta per tanto sincera, che chi la negasse, come fa vossignoria, si meriterebbe la pena medesima che dic’ella di statuire a quei libri quando li legge e le vengono a noia. La ragione di questo si è che lo accingersi a dimostrare a chicchessia che non furono al mondo Amadigi, nè tutti gli altri cavalieri di ventura, dei quali vanno piene zeppe le storie, sarebbe lo stesso come voler provare che il sole non illumini, il gelo non agghiacci, nè la terra ci sostenga: e di fatto, quale sottile ingegno può mai darsi quaggiù che giunga a persuadere altrui che non sia vero ciò che accadde nel tempo di Carlomagno alla infanta Floripa con Guy di Borgogna, e ciò che raccontasi di Fierabrasse sul ponte di Mantible? Giuro a Dio che tutto questo è tanto vero, com’è chiaro giorno in quest’ora. Che s’ella spaccia ogni cosa come menzogna, sarà falso per la stessa ragione che sieno stati mai Ettore, Achille, la guerra di Troia, i dodici Paladini di Francia e il re Artù d’Inghilterra,