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capitolo xlix. 541

dimande sì che pare proprio un incantato? Da questa maniera di dire ne viene la conseguenza che coloro che nè mangiano, ne bevono, nè dormono, nè fanno i bisogni naturali, sono gl’incantati, ma non già quelli che sentono i naturali pruriti, come vossignoria, che beve se le danno da bere, mangia quando ha da mangiare, e risponde a chi la interroga. — Tu dici il vero, o Sancio, rispose don Chisciotte, ma io ti ho già detto che si trovano molte specie d’incantesimi; e potrebbe darsi che col variare dei tempi fossero succeduti molti cambiamenti, e che gl’incantati di questa nostra età facciano tutto quello che faccio io, quantunque per i tempi addietro non lo facessero: e devi sapere che contro l’uso dei tempi nulla c’è da sofisticare. Io so e resto convinto di essere incantato, e questo basta per tranquillità della mia coscienza, chè mi affliggerei se pensassi di non esserlo, e mi vedessi rinchiuso in questa gabbia impoltronito e codardo, defraudando del dovuto soccorso coloro che in questo momento possono aver bisogno di me. — Contuttociò per altro, replicò Sancio, io dico che per un soprappiù e per una particolare mia soddisfazione sarebbe ben fatto che la signoria vostra s’ingegnasse di uscire di questa gabbia, al che io le darei ogni aiuto, e che poi tentasse di montare sopra Ronzinante, il quale sembra pur egli incantato, tanto sta malinconioso ed afflitto. Fatto questo, noi farem prova di andare un’altra volta a cercare nuove avventure: e se ci riuscissero male, ci resterà sempre tempo di tornare nella gabbia maladetta, dove prometto in fede di buono e leale scudiere di rinchiudermi unitamente alla signoria vostra, se per caso foss’ella tanto disgraziata, o io sì dappoco che mancasse l’animo di eseguire quanto suggerisco. — Sono contento di fare quello che dici, fratello Sancio, replicò don Chisciotte; e quando tu vegga l’occasione di mettermi in libertà, io farò a modo tuo: ma tu vedrai quanto t’inganni nella vera conoscenza della mia disgrazia„.

S’intertennero il cavaliere errante e il mal errante scudiere in siffatti ragionamenti, finchè arrivarono ove già smontati li attendevano il canonico, il curato e il barbiere. Staccò il carradore i buoi e lasciolli andare al pascolo a loro piacimento per quel verde ed ombroso luogo, la cui frescura invitava a goderne non tanto le persone incantate come don Chisciotte, quanto le accorte e bene avvertite come il suo scudiere. Pregò questi il curato che lasciasse uscire alcun poco di gabbia il suo padrone, perchè se non glielo permettesse non sarebbe rimasta sì asciutta quella prigione quanto esigeva la decenza d’un tanto cavaliere qual era il suo padrone. Comprese il curato l’oggetto della dimanda, e gli disse che ben volentieri lo avrebbe compiaciuto s’egli si fosse costituito garante che