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capitolo iv. 37


giurando che andrebbe in traccia del valoroso don Chisciotte della Mancia per informarlo a puntino di ciò ch’era occorso, affinchè gliela facesse pagar molto cara; ma dopo tutto questo il giovine se n’andò piangendo, e il padrone restò facendo le più gran risate.

E così disfece quel torto il valoroso don Chisciotte; il quale soddisfattissimo dell’avvenuto, e sembrandogli d’aver dato felicissimo cominciamento a’ suoi cavallereschi esercizi andava camminando verso la propria terra, contento pienamente di sè medesimo; e dicea a bassa voce: “Ben ti puoi chiamar fortunata sopra quante vivono in terra, o sopra le belle, bella Dulcinea del Toboso, da che t’è toccato in sorte di aver soggetto a’ voleri tuoi e pronto a qualunque tuo servigio sì valoroso e celebre cavaliere com’è e sarà don Chisciotte della Mancia; il quale (e ne vola già fama pel mondo) ha ricevuto ieri l’ordine di cavalleria, ed oggi ha disfatto il più gran torto che mai fosse immaginato dalla ingiustizia, e compito dalla crudeltà! Oggi ho io tolta di mano la frusta ad un nemico spietato che senza motivo alcuno batteva un dilicato fanciullo!„ Giunse frattanto ad un luogo dove la strada si divideva in quattro; e gli vennero a mente quei crocicchi dove i cavalieri erranti solevan pensare per quale via avessero da mettersi. Per imitarli ristette da prima alquanto, ma poscia, dopo avere ben riflettuto, lasciò andare la briglia a Ronzinante, abbandonando la sua alla volontà del cavallo; il quale, seguendo il naturale desiderio, si dirizzò alla volta della propria stalla. Compite due miglia all’incirca, scoprì don Chisciotte una gran torma di gente; mercanti (come si seppe da poi) di Toledo, che andavano a Murcia per comperar seta. Erano sei, ognuno col suo parasole, e loro tenevano dietro quattro servidori a cavallo e tre vetturali a piedi. Non li scorse appena don Chisciotte, che si figurò di avere alle mani una nuova ventura, e voglioso com’era d’imitare pienamente i casi letti nei libri suoi, volle cogliere quella buona occasione per rinnovarne uno che volgeva nell’animo. Con bel garbo adunque si strinse ben nelle staffe, impugnò la lancia, si avvicinò la targa al petto, e piantatosi nel mezzo della strada, stette attendendo che quei cavalieri erranti, com’egli li giudicava, arrivassero. E quando che se gli furono appressati, alzò la voce, e con grande ardimento si fece a dire: “Tutto il mondo si fermi, se tutto il mondo non confessa che non avvi nell’universo una donzella più vaga della imperadrice della Mancia, della senza pari Dulcinea del Toboso„. Al suono di queste parole ed alla vista della strana figura che le proferiva, quei mercanti ristettero, e subitamente si accorsero della sua follia, ma vollero star a vedere chi andasse a colpire la confessione che da loro si domandava. Però uno di essi, uomo d’allegro umore gli rispose: “Signor cavaliere, noi non cono-