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capitolo xlvi. 517

in verun modo ciò ch’era per accadergli, tranquillamente sognava. Lo ghermirono, e gli legarono stretto stretto le mani e i piedi con tanta celerità, che quando si svegliò già gli era impossibile il moversi; ma rimase attonito e fuori di sè nel vedersi dinanzi figure sì insolite e strane. Cadde tosto dove la stravolta sua fantasia lo portava, e credette che tutte quelle figure fossero fantasime abitatrici di quel castello, e ch’egli se ne stesse senza verun dubbio incantato, nè potesse mutare di sito, nè difendersi: il tutto per lo appunto seguì come avea pensato che dovesse succedere il curato macchinatore di quel complotto. Il solo Sancio, tra tutti quelli ch’erano presenti, restava perfettamente in cervello e nello stato di prima; e benchè poco gli mancasse per cadere nella infermità del suo padrone, pure conobbe chiaramente chi erano quelle contraffatte figure, ma non osò di aprir bocca finchè veduto non avesse dove andava a finir quell’assalto e quella prigionia del padrone. Questi non movea sillaba aspettando l’esito della sua disgrazia; il quale fu questo, che recata ivi la gabbia ve lo rinchiusero dentro, e vi conficcarono dei legni sì fortemente che non li avrebbe mai potuti spezzare. Lo portarono sopra le spalle, e nell’uscire dalla stanza si udì una voce spaventosa che facea gran rimbombo, ed era mandata fuori dal barbiere, non già quello della bardella, ma l’altro; diceva: “O cavaliere dalla Trista Figura, non ti rincresca di andare così prigioniero, chè ciò è necessario perchè abbia un più sollecito fine l’avventura in cui ti ha posto il tuo sommo valore. Questa avrà termine quando il furibondo Leone mancego con la can-