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capitolo xlv. 505

soggiunse, chè in questo non istà l’essenza del fatto, ma sibbene che sia o no bardella, come le signorie vostre sostengono.

Udendo questo uno degli sgherri di campagna, ch’era allora entrato ed avea inteso il tenore della controversia, pieno di rabbia e di stizza, perchè venuta eragli la noia, si fece a dire: — Tanto è questa bardella, quanto mio padre; e chi dice o ha detto diversamente dev’essere briaco. — Menti come villano infame, rispose don Chisciotte, ed alzando il lancione, che non si lasciava mai uscire di mano, gli misurò un colpo sì giusto sopra la testa, che se lo sgherro non se ne fosse schermito, sarebbe rimasto morto disteso. Il lancione dando in terra si ruppe in pezzi, e gli altri sgherri che videro maltrattare il loro compagno, levaron la voce domandando che tutti dessero mano alla Santa Hermandada. L’oste, ch’era pure della consorteria, si affrettò a dare di piglio all’archibuso e alla spada, e si pose dal lato dei suoi compagni; i servitori di don Luigi tolsero in mezzo il loro padrone perchè in tanto scompiglio non iscapasse; il barbiere vedendo che la casa era sossopra, afferrò la sua bardella, e Sancio fece il medesimo; don Chisciotte impugnata la spada, attaccò allora la sbirraglia. Don Luigi intimava a’ suoi servi che lo lasciassero chè voleva accorrere alla difesa di don Chisciotte; Cardenio e Fernando si erano uniti per sostenerlo nella zuffa; il curato strillava; strillava l’ostessa; sua figlia affliggevasi; Maritorna piangeva; Dorotea era confusa; Lucinda era attonita; donna Chiara sbigottita. Il barbiere bastonava Sancio, e questi dava al barbiere un perfetto ricambio. Don Luigi colpì con un pugno sì forte uno dei suoi servidori che gli fece uscire il sangue di bocca, perchè aveva ardito pigliarlo per un braccio affinchè non fuggisse; il giudice lo difendeva; don Fernando calcava coi piedi uno sgherro e calpestavalo alla peggio; l’oste tornava a rinforzare le grida domandando che fosse aiutata la Santa Hermandada. Tutto era confusione nell’osteria, nè altro vi dominava che pianti, strida, schiamazzi, rimescolamenti, paure, disgrazie, coltellate, sorgozzoni, bastonate, calci e spargimenti di sangue. In mezzo a questo caos ed a questa confusione di tante cose, don Chisciotte si risovvenne della discordia universale seguita nel campo di Agramante1, e quindi si fece a dire con un tuono di voce per cui ne rimbombò l’osteria tutta: — Ognuno si fermi; si rimettano le spade nel fodero; tutti si acchetino, e mi ascoltino tutti quanti hanno cara la propria vita„. A questa voce terribile tutti arrestaronsi, ed egli proseguì a dire: — Non vel diss’io, o miei signori, che questo

  1. Orlando Furioso, c. XXVII.

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