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498 | don chisciotte |
momento cominciai a farla dominatrice della mia volontà: e se la vostra nol vieta, vero signore e padre mio, in questo giorno medesimo ella debb’essere mia sposa. Per lei ho abbandonato la casa paterna; per lei ho vestito quest’abito a fine di seguitarla dovunque ne vada, come la saetta mira allo scopo e il marinaro alla tramontana; e tutto ciò senza palesarle il mio amore e soltanto lasciandole da lontano vedere le mie lagrime. La ricchezza e la nobiltà dei miei genitori vi è nota, e vi è noto ch’io sono l’unico loro erede. Se vi sembra che questi sieno titoli bastevoli per determinarvi a rendermi felice, ricevetemi tosto in luogo di figlio: e se mai non piacesse a mio padre per qualche suo disegno il bene che ho saputo procurarmi, considerate che il tempo è più efficace a produrre cambiamenti nelle cose, che la volontà degli uomini„.
Tacque, ciò detto, l’innamorato giovane; e il giudice restò sospeso, confuso e trasognato in udirlo, sì pel modo e pel buon giudizio con cui gli aperse il suo cuore, com’anche per trovarsi in tali circostanze da non sapere a qual partito appigliarsi in sì repentino ed inatteso evento. Null’altro dunque gli rispose, se non che si desse pace e procurasse di trattenere i servi per quella giornata a fine di guadagnar tempo, e intanto considerare e conoscere quale fosse per loro il più savio consiglio. Gli baciò don Luigi affettuosamente le mani che bagnò del suo pianto, il che intenerire poteva un cuore di marmo non che quello del giudice; il quale, come uomo assennato, scorgeva pienamente l’utilità di quel matrimonio per sua figliuola qualora avesse potuto concorrervi l’assenso del padre; ma s’immaginava pur troppo che questi avrebbe voluto un collocamento di molto maggiore importanza.
In questo mentre eransi gli ospiti già rappacificati coll’oste, e gli aveano pagato il suo conto, a ciò indotti più che dalle minaccie, dalle persuasive e buone ragioni di don Chisciotte. I servi di don Luigi attendevano il fine della sua conferenza col giudice e le risoluzioni che ne piglierebbe. Il demonio frattanto, che mai non dorme, fece ch’entrasse in questo punto nell’osteria il barbiere, a cui don Chisciotte avea tolto l’elmo di Mambrino, e Sancio Panza rubati i fornimenti dell’asino per cambiarli con quelli del suo. Guidando costui in istalla il suo giumento vide Sancio che stava assettando non so che cose della bardella, e avendolo tosto riconosciuto fu tanto ardito da affrontarlo con queste parole: “Ah ladrone infame! t’ho pur colto una volta: rendimi il mio bacino e la mia bardella e tutti i fornimenti che m’hai rubato„. Sancio assalito così all’impensata, e sì bruttamente vituperato, afferrò la bardella con una mano, e diede coll’altra al barbiere uno sgru-