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capitolo xliv. 495

è il figlio del suo vicino, e che si tolse dalla casa paterna in arnese affatto disdicevole alla sua condizione? l’osservi bene, e lo raffigurerà senza dubbio„. Si fece il giudice a guardarlo con attenzione, e riconosciutolo, lo abbracciò, dicendogli: — Che fanciullaggini sono queste, signor don Luigi, e quali cause vi hanno indotto a questa risoluzione ed a vestire abito tanto sconveniente alla nobile vostra famiglia?„ Spuntarono le lagrime sugli occhi del giovinetto, e non potè rispondere parola al giudice, il quale intimò ai quattro servi di tranquillizzarsi, perchè ogni cosa terminerebbe in bene: poi prendendo per mano don Luigi, seco lo trasse in disparte, chiedendogli che cosa volesse significare quel suo travestimento.

Mentre gli andava facendo questa ed altre interrogazioni si udirono alte grida alla porta dell’osteria; e nascevano dalla fuga tentata da due degli ospiti che vi aveano alloggiato la notte, i quali mentre tutti erano intenti a voler sapere che cosa si volessero quei quattro, tentavano di andarsene senza pagare. L’oste però, che badava assai più ai proprii che ai fatti degli altri, fermatili alla porta avea chiesto loro il pagamento del debito, accompagnando la dimanda con sì offensive espressioni, che quei due gli rispondevano colle pugna; e tanto lo maltrattavano che il pover uomo era costretto a domandare aiuto gridando. L’ostessa e la sua figliuola non videro uomo più a proposito per quella circostanza di don Chisciotte, cui la giovane si mise a dire: — Soccorra, signor cavaliere, col valore che Dio le ha concesso il povero mio padre; chè due tristi uomini lo bastonano come un asino„. Cui don Chisciotte rispose posatamente e con molta flemma: — Vaga donzella, non posso aderire alle vostre suppliche, essendomi vietato di frammettermi in altre avventure fintanto che io non dia compimento a quella per cui ho impegnata la mia parola. Vi dirò per altro come si potrebbe fare perchè io mi prestassi a servirvi. Correte, e dite a vostro padre che sostenga la battaglia quanto più può e alla meglio, e che non si dia per vinto finchè io avrò chiesta alla principessa Micomicona la licenza di soccorrerlo; e s’ella me lo concede, tenete per certo che io lo trarrò salvo dal suo pericolo. — Oh meschina di me! disse allora Maritorna, che si trovava presente: prima che ottenga vossignoria questa licenza il mio padrone sara andato già all’altro mondo. — Fate ch’io impetri questa licenza, rispose don Chisciotte, e poco importerà ch’egli sia a questo o all’altro mondo, giacchè io saprei cavarlo anche dal mondo di là, o per lo meno lo vendicherò per tal modo di chi vi lo avesse mandato, che voi, signora, ne otterrete più che mezzana soddisfazione„. Nel dire questo gli apparì Dorotea, ed egli volò alle sue ginocchia, chiedendo