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488 | don chisciotte |
sciorre. Stava egli dunque, come si è detto, ritto su Ronzinante, col braccio dentro il buco, e legato il polso della mano al chiavistello dell’uscio, coll’affannoso pensiero che se Ronzinante fosse sguizzato di sotto ai suoi piedi dall’una parte o dall’altra, sarebbe rimasto egli penzolone appiccato pel braccio: e perciò non osava di fare il più piccolo movimento; benchè avrebbe dovuto essere persuaso che la naturale flemma, quiete e tranquillità di Ronzinante lo avrebbero lasciato là senza moversi anche per un secolo intero. Ma finalmente trovandosi così legato, ed essendo già partite le dame, cominciò a pensare che tutto accadesse per via d’incantesimo, come la volta passata quando quel malefico moro del vetturale lo bastonò acerbamente in quel castello medesimo. Malediceva pertanto il suo poco discernimento, perchè essendogli quel castello riuscito sì mal soggiorno la prima volta, non avrebbe dovuto avventurarsi di entrarvi una seconda. È legge invariabile dell’errante cavalleria, che quando un’avventura qualunque non risponde alla prova, il cavaliere che l’ha tentata considerandola come cosa a lui interdetta, dee lasciarne ad altri l’incarico, e non è tenuto a mettervisi da capo. Con tutto ciò andava stirando il braccio per vedere se potesse distaccarsi, ma era sì strettamente accappiato che inutile se gli rendeva qualunque sperimento. Vero è bensì che tirava pian piano affinchè Ronzinante non si movesse, e quantunque tentasse di sedere o di adagiarsi sulla sella, non potea far di meno di non restarsene in piedi per non istrapparsi la mano. Oh allora sì che avrebbe dato qualunque prezzo per aver quella spada di Amadigi che spezzava ogni incanto! Malediceva la sorte che teneva preso a tale incantagione un cavaliere, da cui il mondo poteva aspettarsi tante nobili imprese: e chiamava a gran voce il suo buon Sancio Panza, il quale sepolto nel sonno e prosteso sopra la bardella del suo asino non ricordavasi nemmeno della madre che l’avea partorito. Chiamò in aiuto i savii Lirgandeo e Alchiffo, e invocò la sua buona amica Urganda perchè lo soccorressero. Finalmente giunse l’istante in cui si trovò sì disperato e rabbioso che mugghiava come un toro, e non isperava neppur col nascere del nuovo giorno di vedere la fine di tanta miseria, che supponeva eterna atteso il suo incantamento. Tanto più ciò teneva per certo in quanto che vedeva Ronzinante non muoversi nè punto nè poco; e credeva che senza mangiare, bere e dormire, egli ed il suo cavallo avrebbero dovuto restare colà finchè cessato non fosse il maligno influsso dell’avversa stella, o finchè qualche altro più savio incantatore non giugnesse a disfare la stregoneria.
S’ingannò di molto nelle sue fantasie; perchè comincio appena