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capitolo xliii. | 487 |
quello che dovesse fare, discese dal buco, nella stalla, prese il capestro del giumento di Sancio Panza, e con molta lestezza tornò al buco, quando appunto don Chisciotte si era rizzato in piedi sopra la sella di Ronzinante per arrivare alla inferriata, dov’egli pensava che stesse la ferita donzella. Nel porgere la mano, disse: — Prendete, o signora mia, questa mano, o a meglio dire, questa destra punitrice di tutt’i malfattori; prendete, replico, questa mano che non fu tocca da verun’altra donna, e nemmeno da quella che tutto signoreggia il mio corpo. Nè già ve la porgo perchè la baciate, ma per darvi campo di ammirare la tessitura dei nervi, l’aggregato dei muscoli, la larghezza e capacità delle vene, ed affinchè da questi esami riconosciate quale debb’essere la gagliardía del braccio cui sta attaccata. — Ora lo vedremo, disse Maritorna; e facendo un cappio scorsoio al capestro, glielo mise al polso della mano, poi allontanandosi dal buco legò fortemente la corda al chiavistello dell’uscio del pagliaio.
Don Chisciotte che sentì nella mano la ruvidezza della fune, disse: — Sembrami che la signoria vostra, bella matrona, più mi grattugi che non mi accarezzi la mano: non la maltrattate a questo modo, ch’essa non è punto colpevole del male che vi fa la mia volontà, nè è giusto che sì piccola parte sostenga tutto il peso del vostro sdegno; avvertite che chi ama non si vendica mai tanto aspramente„. Ma tutte queste ciarle di don Chisciotte non erano intese da alcuno; poichè quando Maritorna l’ebbe legato, presto si tolse di là colla compagna scoppiando dalle risa, e lasciandolo impastoiato in modo da riescirgli impossibile il potersi