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capitolo xlii. 473

col non averci qua dato alcun segno di tracotanza o d’ingratitudine, o di non saper valutare come ben si conviene gli scherzi della fortuna. — Con tutto ciò, soggiunse il capitano, non vorrei darmegli a conoscere così all’improvviso, ma bene a rilento. — V’ho già detto, rispose il curato, ch’io lo disporrò in modo che ne resteremo soddisfatti„.

Era frattanto la cena in ordine, e tutti si assisero a tavola, ad eccezione dello schiavo e delle vezzose donne che cenarono nella loro camera. Il curato, rivoltosi al giudice, si mise a dirgli: — Ebbi, o signor giudice, a conoscere un tale che portava lo stesso nome di vossignoria a Costantinopoli, dove trovavasi schiavo da alcuni anni addietro, ed era uno dei più valorosi soldati e capitani che vantasse la fanteria spagnuola; ma pari al merito ed al valore egli aveva la sfortuna. — E come, signor mio, domandò il giudice, come chiamavasi egli? — Ruy Perez di Viedma, rispose il curato; ed era nativo di un paese delle montagne di Leone. Mi raccontò egli quanto avvenne col padre e coi suoi fratelli, che in verità se non lo avessi conosciuto per uomo veritiero, avrei tenuta la sua narrazione nel numero di quelle che si fanno dalle vecchie al fuoco nella stagione d’inverno. Mi fece credere che suo padre avendo tre figli avea divisa fra loro la sua facoltà accompagnandola con consigli migliori di quelli di Catone, e vi so dire che quello che scelse il partito dell’armi si portò valorosamente cotanto, che senz’altro mezzo, fuorchè quello del proprio merito, giunse in pochi anni al grado di capitano di fanteria, e doveva essere presto maestro di campo. Ma là dove aveva tutta la ragione di giudicar favorevole la fortuna, quivi gli si mostrò appunto nemica; poichè perdette la libertà nella giornata fortunatissima in cui venne da tanti ricuperata, e ciò fu nella battaglia di Lepanto, come io la perdei alla Goletta. Dopo differenti successi ci trovammo compagni in Costantinopoli; e di là passò egli in Algeri dove mi è noto che gli accadde uno dei più strani casi che sieno avvenuti nel mondo„.

Qui proseguì il curato la istoria, e raccontò brevemente al giudice quello che con Zoraida era accaduto al fratello di lui. Teneva il giudice gli orecchi tesi, e prestava tanta attenzione, quanta non ne avea forse mai dimostrata nell’esercizio della sua carica. Il curato dipinse al vivo quel punto in cui furono dai Francesi spogliati i cristiani, che trovavansi nella barca, e la povertà a cui erano ridotti la vezzosa Mora ed il suo camerata, aggiungendo che non sapeva quale ne fosse poi stato il destino, cioè se fossero giunti in Ispagna, o se i Francesi li avessero condotti in Francia.



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