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capitolo xli. 451

e nel vedere sua figlia a quel modo le domandò che avesse; ma non gli dando ella risposta alcuna, soggiunse: “Ah ella sviene pel subitaneo spavento recatole da questi cani„. In ciò dire staccandola da me la strinse al suo seno, ed ella traendo un lungo sospiro e con gli occhi umidi di pianto, ritornò a dire: Ameji, cristiano, ameji. “Vattene, cristiano, vattene„. Le disse suo padre — Non serve, o figlia, che parta il cristiano; egli nulla ti ha fatto di male, ed i Turchi sono già partiti; non avere più timore, chè nessuna cosa debb’ora affannarti, perchè ti replico, che i mariuoli sono tornati d’onde erano venuti. — Signore, diss’io al padre suo, i Turchi le infusero spavento, come voi dite; ma poichè essa rinviene, e mi comandò di partire, non voglio darle fastidio; restatevi in pace, e con vostra permissione tornerò se occorra, a cogliere erbe in questo giardino; chè, a quanto ne dice il mio padrone, gli somministra la più saporita insalata ch’egli possa desiderare. — Te ne potrai tornare ogni volta che ti sia in grado, rispose Agi-Morato, perchè mia figliuola non ti disse di andartene per aver avuto molestie da alcun cristiano, ma piuttosto credendosi di parlare coi Turchi, e fors’anche perchè tu non perdessi tempo a raccorre gli erbaggi„. Con ciò io tolsi da amendue licenza, ed essa (a quanto sembrava) coll’anima che le fuggiva dal seno, se n’entrò con suo padre, restando io nel giardino che visitai da per tutto a mia voglia. Osservai diligentemente gl’ingressi e le uscite, il sito della casa, e la opportunità di cui mi potea prevalere per compiere il nostro disegno. Fatto questo, me ne tornai, e diedi contezza al rinnegato ed ai compagni miei di ciò che mi era avvenuto. Mi pareva