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capitolo xli. | 447 |
pronti al primo venerdì prefisso alla nostra partenza. Perciò m’accordai con dodici Spagnuoli, tutti uomini capacissimi al remo, e di quelli che avevano libera l’uscita dalla città; nè fu poco ritrovarne tanti in quella occasione, essendovi in corso venti vascelli che aveano assoldata tutta la gente abile al navigare; nè si sarebbero trovati neppure questi se il loro padrone avesse avuta pronta al corso la galera cbe si stava per lui costruendo in Astigliero. Ai marinai null’altro io dissi; se non che il primo venerdì sera se ne uscissero accortamente uno per volta, e si avviassero al giardino di Agi-Morato, e che quivi mi attendessero. Li avvisai uno per uno, commettendo loro che non facessero sapere ad altri cristiani, coi quali per caso si fossero incontrati, di avere avuta da me la posta in quel luogo.
“Usata una tale avvertenza, mi restava di adempier ad altra cosa da me dovuta, ed era di partecipare a Zoraida come passavano le cose, perchè se ne stesse sull’avviso nè concepisse timore nel vedersi assalita da noi prima del tempo in cui figurar si potesse che la barca dei Cristiani fosse di ritorno. Io mi determinai allora di recarmi al giardino per tentare di abboccarmi con lei. Col pretesto pertanto di raccogliere alcune erbe vi fui un giorno prima della partenza, ed il primo in cui mi avvenni fu il padre suo, il quale mi parlò nella lingua usata in tutta la Barberia ed anche in Costantinopoli tra gli schiavi ed i Mori, e che non è dialetto nè moro, nè castigliano, nè di verun’altra nazione, ma un miscuglio d’ogni linguaggio con cui c’intendiamo tutti fra noi1. Dico dunque che mi domandò in tal favella che cosa cercassi in quel suo giardino, e di chi fossi schiavo. Risposi ch’io era schiavo di Arnaute Mamì2, (e ciò dissi per essermi noto che gli professava grande amicizia) e che andavo cercando alcune erbe per fargli una saporita insalata. Mi chiese s’io era uomo da riscatto, e quanto ne voleva per me il mio padrone. Stavamo in questi ragionamenti, quando uscì dalla casa posta sul giardino la bella Zoraida, la quale non mi avea veduto da molto tempo; e siccome le More non usano gran riserbo nel mostrarsi ai cristiani, nè tampoco li schivano, come già dissi, non si ritrasse per la mia presenza, nè oppose la minima difficoltà a raggiungermi, quando suo padre che la vide lungi, la chiamò, e le impose che ci venisse dappresso. Sarebbe ora inutile se mi ac-