rispose lo schiavo, che dopo due anni passati in Costantinopoli, fuggì in abito d’Arnauta1 con un greco esploratore, ma non so se abbia ricuperato la libertà, lo che però credo avvenuto, giacchè dopo oltre un anno ho veduto il Greco in Costantinopoli, ma non mi venne fatto di domandargli l’esito di quel viaggio. — Gli andò bene il tentativo, rispose il cavaliere. Sappiate che questo don Pietro è mio fratello, e trovasi al presente in patria sano, ricco ed ammogliato con tre figliuoli. — Sia lode al cielo, disse lo schiavo, pel favore che gli ha concesso, non essendovi quaggiù alcun contento che a quello si agguagli di ricuperare la libertà perduta. — E c’è di più, replicò il cavaliere, che so a memoria i sonetti composti da mio fratello. — Li faccia sentire la signoria vostra, disse lo schiavo, che li reciterà meglio di me. — Ben volentieri, soggiunse il cavaliere: quello per la Goletta è il seguente:
- ↑ Così allora chiamavansi gli Albanesi.