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capitolo xxxvii. 403

danni e delle perdite a lei procurate da don Chisciotte. Il solo Sancio, come già si è detto, era lo sconsolato, il malgiunto: quindi andò al suo padrone appena che fu svegliato, e con malinconico viso gli disse: — Può bene vossignoria, signor cavaliere dalla Trista Figura, dormire a suo beneplacito senza pensiero di dover ammazzare nessun altro gigante, nè di restituire la principessa al suo regno, perchè non c’è altro da fare. — E ben te lo credo, rispose don Chisciotte, perchè ho dato al gigante una sì straordinaria e sanguinosa battaglia che non darò mai più l’eguale in tutto il corso della mia vita, mentre con un solo man rovescio, taf, gli ho buttata in terra la testa, e fu in sì gran copia il sangue sparso che ne correvan torrenti come se fosse stata acqua. — E come se fosse stato vino rosso, potrebbe dire molto meglio la signoria vostra, soggiunse Sancio; poichè voglio ch’ella sappia, se pur lo ignora, che il gigante morto non era altro che un otre forato, il sangue fior di vino rosso, e la testa... la testa è il malanno che se ne porta ogni cosa. — Che diamine vai tu dicendo, pazzo che sei? replicò don Chisciotte; hai tu perduto il cervello? — Si levi vossignoria, disse Sancio, e vedrà la bella prodezza che ha fatta, e quello che dovremo poi pagare all’oste. Vedrà in oltre la regina trasfor-