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lo stesso Sancio, ma ebbe a confessare di poi che non per altro piangeva egli se non se per vedere che Dorotea non era più, come si figurava, la regina Micomicona, dalla quale attendevasi tanti benefizii. Durò qualche tempo unitamente alle lagrime la generale maraviglia, dopo di che Cardenio e Lucinda si posero ginocchioni dinanzi a don Fernando ringraziandolo del favore da lui ricevuto, e ciò con sì obbliganti espressioni che don Fernando non seppe rispondere, ma li rialzò e li abbracciò con molta affezione e con singolare cortesia. Domandò poscia a Dorotea com’erasi recata in quel luogo sì discosto dal suo paese, ed ella brevemente e con bel garbo narrò quanto aveva riferito a Cardenio; di che n’ebbero sì grande soddisfazione don Fernando e i compagni suoi, che avrebbero desiderato che non terminasse il racconto sì presto: tanta era la grazia con cui esponeva Dorotea la storia delle sue passate disavventure. Finito ch’ebbe di parlare, narrò don Fernando ciò che eragli avvenuto nella città dopo di aver trovato in seno a Lucinda il foglio con cui dichiarava di essere già sposa a Cardenio; disse ch’era stato sul punto di ucciderla se i parenti di lei non gli avessero impedito di compiere il suo tristo disegno; e che quindi se ne partì pieno di risentimento e di dispetto, decìso di vendicarsi a tempo più opportuno: che gli pervenne a notizia essersi sottratta Lucinda dalla casa paterna senza che alcuno sapesse dove si fosse diretta; e che finalmente a capo di alcuni mesi egli seppe in modo da non dubitarne ch’erasi ritirata in un monastero, de-