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capitolo xxxv. 385

gigante, e si vedesse ella pacifica posseditrice del suo regno lo investirebbe della maggior contea che fosse al mondo. Sancio si sentì rinascere, ed assicurò la principessa ch’egli aveva veduta la tronca testa del gigante, ed in prova di ciò che asseriva, dichiarò che avea una barba che gli arrivava fino alla cintola, e che se questa benedetta testa non si trovava, era perchè quanto succedeva in quella osteria era tutto un’incantagione, di che protestava di aver avute certissime prove l’altra volta che vi si fermò ad alloggiare. Dorotea disse di credergli, ma che non se ne pigliasse fastidio mentre tutto sarebbe andato a dovere e al modo da lui desiderato. Tranquillizzato che fu ognuno, il curato bramò di terminare la lettura della novella, vedendo che vi mancava assai poco. Cardenio, Dorotea e gli altri tutti lo pregarono che la finisse, ed egli per contentare gli altri ad un tempo e sè stesso continuò come segue:

“Accadde pertanto che la piena fiducia che riponeva Anselmo nella bontà di Camilla, lo facea vivere una vita contenta e senza pensieri, mentr’ella per dar colore all’inganno facea mal viso a Lotario, acciocchè Anselmo credesse il contrario dell’amore che gli portava: e perchè la finzione avesse sempre più apparenza di verità, facea Lotario scorgere la sua ripugnanza di recarsi a lei perchè le sue visite non erano gradite: ma il tradito Anselmo teneasi molto raccomandato affinchè questa cosa non succedesse; ed in tal guisa era egli stesso il fabbro del suo disonore quando credeva di avere assicurata la propria felicità. Frattanto il contento che provava Leonella nel veder favoriti gli amori suoi, giunse al segno di abbandonarvisi senza riserbo alcuno, fidandosi di essere protetta dalla padrona. Finalmente sentì Anselmo una notte camminare per la stanza di Leonella, e recandosi per veder chi fosse, si accorse che qualcuno gl’impediva di aprirne la porta; ma tanto si adoperò che riescì a vedere un uomo che dalla finestra saltava in istrada. Voleva correre per raggiungerlo e riconoscerlo, ma non gli riuscì nè l’una nè l’altra cosa, perchè Leonella lo trattenne dicendogli: — Calmatevi, signore, non vi alterate nè inseguite colui che saltò dalla finestra: egli è mio sposo„. Non volle Anselmo prestarle fede, chè anzi accecato dalla collera trasse un pugnale per ferire Leonella, intimandole di palesargli il vero o l’ucciderebbe. Essa fuori di sè per timore e senza sapere ciò che si dicesse, così parlò: — Non mi uccidete, o signore, chè vi rivelerò cose d’importanza più grandi assai di quello che voi non credereste. — Palesale all’istante, disse Anselmo, o tu sei morta. — Sarà impossibile il farlo subito, disse Leonella, poichè io sono fuori di me stessa; datemi tempo sino a dimani, e sentirete un racconto che resterete


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