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384 | don chisciotte |
chiò appiè del curato, e gli disse: — Ben può la grandezza vostra, potente e bella signora, vivere da oggi in avanti sicura che non le recherà più verun danno questa malnata creatura; ed io sino da questo punto sciolto mi trovo dalla parola datavi, avendola coll’ajuto di Dio, e mercè l’assistenza di quella per cui vivo e respiro, pienamente adempita. — Nol diss’io? soggiunse Sancio ciò udendo, eh non era già io imbriaco! vedete voi come il mio padrone ha messo in sale il gigante? non v’ha più dubbio; io sono già investito della mia contea„.
Chi mai poteva contenersi dal ridere trovandosi presente agli spropositi del padrone e del servitore? Tutti ne facevano il più grande schiamazzo, eccetto l’oste che si dava al diavolo. In fine tanto fecero il barbiere, Cardenio e il curato, che con molto sudore riposero in letto don Chisciotte, il quale fiacco e rifinito ripigliò un sonno profondo. Lo lasciarono dormire, e si recarono alla porta dell’osteria a consolare Sancio che disperavasi di non aver trovata la testa del gigante: ma ebbero poi assai più che fare per acchetar l’oste desolatissimo della repentina morte degli otri suoi: e la ostessa gridava con voce disperata: “In mal punto e in mal’ora entrò in casa mia questo cavaliere errante; che mille demonii se lo avessero portato via! ahi quanto caro mi costa! l’altra volta se n’è partito senza pagarmi lo stallaggio, la cena, il letto, la paglia e la biada per lui e pel suo scudiere con un ronzino e un giumento, e tutto col bel pretesto di essere un cavaliere venturiero. Venga il malanno a lui e alle tariffe della cavalleria per le quali questi signori non pagano mai un maravedis. Per colpa di costoro è venuto qua quest’altro signorino che mi portò via la mia coda, e me la restituì sì mal concia e dipelata, che mio marito non potrà più valersene come soleva; e finalmente, per compir l’opera mi ha rotto gli otri e versato il vino: che versato io possa vedere tutto il suo sangue! Oh non si pensi ora di scapparla netta, chè giuro per le ossa di mio padre e per gli anni di mia madre che me l’hanno da pagare maravedis sopra maravedis, o non mi chiamerei come mi chiamo, nè sarei figlia di chi sono„. Queste ed altre cose diceva l’ostessa inviperita, ed era in ciò secondata dalla sua buona serva Maritorna; la figliuola sola taceva sorridendo di tanto in tanto.
Il curato rimediò ad ogni cosa, promettendo di compensare i danni il meglio che avesse potuto sì degli otri come del vino, e singolarmente del pregiudizio della coda di cui ella faceva tanto gran conto. Dorotea consolò Sancio dicendogli che quando fosse provato a tutta evidenza che il suo padrone ammazzato avesse il