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360 | don chisciotte. |
verso mio destino d’accordo col cielo ha decretato, che poichè cerco l’impossibile, anche il possibile mi sia negato.
“Andò Anselmo il dì seguente alla campagna, lasciando detto a Camilla che Lotario verrebbe ogni giorno a pranzare con lei durante la sua lontananza, e che lo tenesse in conto della sua persona medesima. Si afflisse Camilla, come prudente ed onesta consorte, al ricevere quell’ordine, e rispose che non le pareva ben fatto che altri occupasse alla tavola il posto del marito assente; e che se a ciò s’induceva stimando che non sapesse ella porsi alla testa della famiglia, ne facesse in tale occasione la prova, e conoscerebbe per esperienza ch’era capace e di questo e di molto più. Le replicò Anselmo che così avea stabilito, e ch’ella fosse contenta di obbedirlo. Disse Camilla che si sarebbe sottomessa ad ogni modo al suo volere. Partì Anselmo, e Lotario fu il giorno seguente a casa dell’amico, dove Camilla lo ricevette con onorevole e conveniente accoglienza, mettendo però ogni studio per non restarsi con lui da sola a solo. Aveva essa a tal fine ordinato che stessero i servi e le cameriere da vicino, e specialmente una sua donzella, chiamata Leonella, da lei molto amata per essere cresciute insieme fin da fanciulle, e per averla seco condotta quando si accasò con Anselmo. Nei primi tre giorni nulla le disse Lotario, tuttochè ne avesse avuto grand’agio quando si sparecchiava la tavola, e si affrettavano i domestici di andarsene a pranzo, perchè così ordinava loro Camilla. Aveva raccomandato a Leonella di pranzare prima di lei e di non iscostarsele poi un momento; ma essa che aveva il pensiero a cose di sua maggior soddisfazione, non obbediva fedelmente la padrona, chè anzi la lasciava sola come se le fosse stato così ordinato. L’onestà però di Camilla e la gravità e la compostezza della sua persona erano tali che infrenavano la lingua di Lotario: ma intanto ch’egli per le molte virtù di Camilla era costretto a dover tacere, cominciò a contemplare a parte a parte la estrema bellezza e bontà di lei, capaci d’innamorare non solo chi ha un cuore di carne, ma una statua di marmo. Coll’opportunità che gli offrivano il tempo e il luogo avea campo a considerare quanto era degna di essere amata; ed in breve accorgendosi che al cospetto di tanta bellezza, la sua virtù mal reggeva, cominciò a desiderare di ritirarsi lontano dalla città dove l’amico più nol trovasse nè fosse possibile a lui di più riveder Camilla; ma il diletto che provava nel riguardarla lo distoglieva tosto da tal pensiero. Faceva forza e combatteva seco medesimo affine di scacciar e non sentire il contento che gli recava il mirare Camilla; incolpava sè solo della sua follia; chiamavasi malvagio amico e cattivo cristiano; faceva paragone fra sè ed Anselmo,