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capitolo xxxi. 323

tanto alta che in fede mia mi sorpassa d’un buon palmo. — E che è questo, Sancio? disse don Chisciotte: ti misurasti forse con lei? — Appunto, rispose Sancio; e ciò feci quando aiutandola a mettere un sacco di grano sopra un asino, ci accostammo tanto che ho potuto riconoscere ch’ella era oltre un palmo più grande di me. — Ma dimmi: non è egli vero, replicò don Chisciotte, che ella accompagna la sua alta statura coll’ornamento di mille milioni di grazie dell’animo? Non mi negherai, o Sancio, una cosa: quando ti trovasti sì accanto a lei, non sentisti un odore sabeo, una fragranza aromatica; un non so che di prezioso che non saprei distinguere con nome suo proprio, ma che pure si ravvicina a quell’olezzo e a quell’odore che si sente nella bottega di un elegante profumiere? — Quello che so dire, rispose Sancio, si è che io le ho sentito un tufo di pesce secco; e questo proveniva dall’esser ella molto sudata, e tanto che le grondava giù un succidume piuttosto puzzolente. — Questo è impossibile, rispose don Chisciotte, ma forse che tu eri allora infreddato o mandavi cattivo odore tu stesso; perchè io so benissimo la fragranza che getta quella rosa tra le spine, quel giglio dei prati, quell’ambra liquefatta. — Può anche darsi tutto questo, rispose Sancio, perchè molte volte mi accorgo che mando da per me quel tufo istesso che