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322 | don chisciotte. |
— Quando io stava per presentargliela, rispose Sancio, era ella molto incalorita a dimenare quella parte del grano ch’era restata nel vaglio e mi disse: “Mettete, amico, quella lettera sopra quel sacco, perchè non ho tempo di leggerla finchè non abbia terminato di vagliare tutto il grano che qua vedete. — Prudente signora! disse don Chisciotte; ciò fece per aver campo di leggerla a suo grand’agio, e di prendersene consolazione. Continua frattanto, o Sancio, e rispondimi: Mentre compiva siffatte faccende quai colloqui passarono fra lei e te? quali dimande ti fece sul conto mio? e tu che le rispondesti? non indugiare; dammi notizia di tutto, nè omettere alcuna benchè menoma circostanza. — Nulla mi ha ella domandato, disse Sancio; ma le feci sapere ben io in qual modo vossignoria stava facendo penitenza per servigio di lei: ignudo dalla cintura in su, passeggiando nell’interno di queste montagne come uomo salvatico, dormendo sulla nuda terra, senza mai mangiare un boccone a tavola apparecchiata, senza mai farsi radere la barba, piangendo e maledicendo la sua fortuna. — Errasti, lo interruppe don Chisciotte, nell’asserire ch’io malediceva la mia fortuna; chè la benedico anzi, e la benedirò in tutto il corso della mia vita, avendomi fatto degno di amare una sì alta signora, come è Dulcinea del Toboso. — È vero, rispose Sancio: — ella è