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314 | don chisciotte. |
— Che ti sembra, amico Sancio? disse don Chisciotte a tal passo; l’odi tu? non tel diss’io? noi già abbiamo un regno da comandare, e una regina da fare nostra sposa. — Così è veramente, soggiunse Sancio, e sarebbe un gran furfante quello non facesse un tal matrimonio subito dopo aver tagliate le canne della gola al signor Pantafilando. Cospetto! forse che la regina non è bella? Così fossero tutte le pulci del mio letto!„ Nel dire questo spiccò due salti di allegrezza, poi corse a tenere per le redini la mula cavalcata da Dorotea; e fattala fermare, si buttò ginocchioni davanti a lei, supplicandola che le porgesse la mano per baciargliela in prova che già la teneva per sua regina e signora.
Chi potea tra gli astanti trattenersi dal ridere vedendo la pazzie del padrone e la dabbenaggine del servitore? Dorotea gli porse la mano, promettendogli di farlo gran signore nel suo regno quando le si concedesse tanto bene dal cielo, e ne potesse godere. Sancio rese grazie con tali e tante espressioni che fecero rinnovare universalmente le risa. “Questa, o signori, seguitò poi Dorotea, è la mia istoria, nè altro mi resta a dirvi se non che di tutta la gente che trassi meco dal regno mio, altri non mi rimase che questo barbato scudiere, perchè si annegarono tutti gli altri per una gran burrasca che ci colse a vista del porto. Egli ed io prendemmo terra, si può dire per miracolo, sopra due tavole dell’infranto legno; e miracolo e mistero può ben chiamarsi il corso della mia vita, come avete sentito. Se in qualche parte del mio racconto mi avete trovata noiosa o di poco buon garbo, incolpatene, come ben disse il signor curato al principio della mia narrazione, gli straordinarii e non interrotti travagli che tolgono la memoria a chi li patisce. — Non toglieranno però a me, alta e valorosa signora, disse don Chisciotte, la memoria di affrontare, come ho promesso, in servigio vostro i