se ne accorse fu pronto ad aiutarla dicendo: — Non è maraviglia, signora mia, che la grandezza vostra si turbi e s’imbarazzi nel racconto delle sue disavventure; chè suole alcune volte accaderne di tali che tolgono la memoria a coloro che vengono da esse percossi, per modo che si dimentichino sino del proprio nome, come accade a vossignoria, la quale non si ricorda più che si chiama la regina Micomicona, legittima erede del gran regno di Micomicone; ma ora richiamata a sè stessa potrà la signoria vostra far tornare alla sua travagliata memoria tutto quello che ci vuol raccontare. — Quest’è vero, rispose la donzella, e abbiate di certo che di qui innanzi non sarà d’uopo rammentarmi a cosa veruna, perchè io condurrò a buon termine la verace mia istoria. Proseguo intanto a dirvi che il re mio padre, che si chiamava Trinacrio il saggio, fu esperto assai nella così detta arte magica, per la quale previde che mia madre chiamata la regina Sciaramiglia, doveva morire prima di lui, e ch’egli poco dopo sottoposto sarebbe alla stessa sorte, di maniera che io era destinata a restar orfana di padre e di madre. Il buon uomo non era tanto per questo travagliato, quanto per sapere infallantemente che uno smisurato gigante, signore di una grande isola quasi confinante col nostro regno, chiamato Pantafilando dalla Fosca Vista (giacchè quantunque abbia gli occhi a suo luogo e dritti, guarda sempre al rovescio come fosse guercio, e questo fa per ispaventare chi lo mira), quando avesse notizia della mia orfanezza invaderebbe con esercito poderoso il regno mio per appropriarselo tutto senza lasciarmi pur una terra dove ritirarmi. Giunse egualmente a sapere che io poteva sottrarmi da tanta sventura se avessi voluto accasarmi con lui, ma prevedeva che non avrei acconsentito a sì disuguale matrimonio: e in ciò disse il vero, perchè neppure mi passò per mente di farmi sposa non solo con quel gigante, ma neppure con verun altro per ismisurato che fosse. Però mi diceva mio padre che dopo la sua morte, quand’io vedessi che Pantafilando cominciasse ad invadere il mio regno, mi astenessi da ogni difesa, perch’era lo stesso che annichilarmi: che anzi gli lasciassi in pieno potere il regno se volevo sottrarre alla morte me e i miei buoni fedeli vassalli; giacchè non era possibile difendermi dalla diabolica forza del gigante se non dirigendomi in compagnia di alcuni fedeli miei verso le Spagne dove avrebbero avuto rimedio i miei mali, trovando un cavaliere errante, la cui fama in quel tempo sarebbesi dilatata per tutto questo regno, ed il quale dovea chiamarsi, se mal non mi appongo, don Azote, o don Gigote. — Dovete dire don Chisciotte, signora, soggiunse a questo punto Sancio Panza, o con altro nome il cavaliere dalla