trovaron al piano appiè della montagna, ed uscitone fuori anche don Chisciotte coi compagni, il curato si pose a mirarlo con molta gravità, come chi cerca di rammentarsi qualcuno e di riconoscerlo; e dopo averlo buona pezza osservato se gli fece incontro a braccia aperte, dicendoci con sonora voce: — Sia il ben trovato lo specchio della cavalleria, il mio buon compatriotta don Chisciotte della Mancia, il fiore e l’esempio della gentilezza, la difesa e il rifugio dei bisognosi, la quinta essenza dei cavalieri erranti„. Nel dire questo teneva abbracciato il ginocchio della gamba sinistra di don Chisciotte, il quale, attonito di ciò che vedeva e sentiva dire e fare da quell’uomo, si pose a guardarlo con attenzione, e lo conobbe finalmente, restando come trasecolato a tal vista. Fece gran forza per voler ismontare: ma il curato nol permise a niun modo, per lo che disse don Chisciotte: — Me lo permetta vossignoria, signor curato, chè non si conviene che io mi stia a cavallo quando se ne sta a piedi una sì rispettabile persona com’è la signoria vostra. — Nol consentirò a patto alcuno, rispose il curato: se ne resti a cavallo la vostra grandezza, poichè a cavallo compie gloriosamente