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capitolo xxviii. 293

de’ miei buoni pensieri. Altro non bisognò a persuadermi di lasciar tosto quella città in compagnia d’un solo servitore, il quale presto cominciò a farmi sospettare della fedeltà che mi aveva giurata. Entrammo in quella notte nel più folto di questi boschi col timore di essere sopraggiunti: ma un male chiama l’altro, come suol dirsi, ed il termine di una disgrazia, spesso è principio di un’altra maggiore: e così a me successe; poichè il servitore ch’erasi fino allora conservato fedele e sicuro, quando mi vide in queste solitudini dove nessuno avrebbe potuto aiutarmi da lui, non si vergognò di tenermi tali parole delle quali fremo ancora e arrossisco. Il giusto cielo mi diede vigore per sostenere contro le sue vili impertinenze le mie giuste intenzioni; e quando egli mi si avvicinò risoluto di essere violento, poichè le finte preghiere non gli erano valse, con poca fatica e con lievi forze io lo feci cadere in un precipizio dove lo lasciai non so se morto o vivo; poi con quella prestezza che una subita paura suol infondere m’internai tra queste balze senz’altro pensiero o disegno che di ascondermi e di fuggire da mio padre e dalle mani di coloro che vanno cercandomi per comando di lui. Corrono non so quanti mesi da che vi sono, e qui trovai un custode di armenti che mi prese al suo servigio in un villaggio posto nel cuore di queste montagne, cui ho servito come bifolco durante questo tempo, procurando di starmene sempre tra i campi per celare questi capelli, che ora senza pensarlo, mi hanno scoperta rendendo vana ogni industria ed ogni premura mia anche verso il mio nuovo padrone.

“Avvedutosi anche costui che io non era uomo, diede ricetto