Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
290 | don chisciotte. |
e aggiunsero altre circostanze degne di maraviglia dalle quali fu accompagnato quell’imeneo„.
Udì Cardenio il nome di Lucinda, ed altro non fece che stringersi nelle spalle, mordersi le labbra, inarcare le ciglia, ed indi a poco lasciarsi cadere dagli occhi due fiumi di pianto: ma non lasciò Dorotea per questo di proseguire il suo racconto dicendo: “Pervenne alle orecchie mie la novella, e in vece di gelarmisi il cuore udendola, m’accese così gran collera e tal furore, che fui tentata di andar per le strade pubblicando ad alta voce la slealtà e il tradimento di don Fernando; ma frenai per allora lo sdegno col proposito di oprare in quella notte ciò che poi posi ad effetto; e fu d’indossare queste vesti cedutemi da un bifolco allevato in casa di mio padre, a cui resi nota interamente la mia sventura, pregandolo di accompagnarmi alla città dove io sperava di trovare il mio nemico. Dopo essersi egli molto opposto al mio ardito divisamento, vedendomi irremovibile, protestò che mi sarebbe compagno, com’egli disse, fino in capo del mondo. Raccolsi e rinchiusi subito in un involto di tela un abito di donna e qualche gioia e qualche danaro per tutto ciò che potesse accadere, e nel silenzio di quella notte e senza far motto alla cameriera traditrice mi allontanai dalla casa paterna, accompagnata dal servo e da una folla di pensieri, mettendomi in viaggio a piedi, e portata a volo dal desiderio di giungere alla città, se non per distruggere ciò che credea già compito, per chiedere almeno a don Fernando con qual core si fosse ridotto a sì nera azione. Vi pervenni in due giorni e mezzo, chiesi tosto contezza dei parenti di Lucinda; ed uno da me interrogato mi disse più di quanto avrei voluto sapere. M’indicò la casa di Lucinda,