Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
284 | don chisciotte. |
io la occupava in esercizii convenienti alle donzelle, cucire, ricamare, filare; o se talvolta me ne astenevo, era per applicarmi alla lettura di qualche libro di divozione o per toccar l’arpa, addottrinandomi l’esperienza che la musica rimette gli animi scomposti e alleggerisce i mali dello spirito. Questa era il tenore di vita che io passava in casa paterna: che se esso da mi vi è raccontato minutamente, nol fo già per ostentazione, nè per farvi sapere che possiedo ricchezze e fortune, ma perchè sappiate che senza mia colpa caddi da felicissimo stato nella miseria in cui mi vedete. Io conduceva dunque i miei giorni in tante e sì varie occupazioni, e in un ritiro sì rigoroso che ben poteva agguagliarsi a quello di un monastero; perchè non veduta, a quanto io credeva, da altri che dalle persone di casa, andavo ad ascoltare la messa assai di buon’ora, accompagnata da mia madre o da altre serventi; e tanto chiusa in me stessa, che vedevo appena quella terra ch’io calcava coi piedi. Ad onta di tutto questo gli occhi dell’amore, o della curiosità per dir meglio (ai quali non possono assomigliarsi quelli di lince) fecero che si volgesse sopra di me l’attenzione di don Fernando, figlio minore di quel duca da me poc’anzi menzionato„.
Non ebbe la narratrice pronunziato appena il nome di don Fernando, che Cardenio cambiò di colore in viso, e cominciò a sudare con alterazione sì grande, che il curato e il barbiere temettero in lui un accesso di pazzia, poichè già sapevano che soleva esserne assalito di tanto in tanto. Cardenio però non fece altro che trasudare