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268 | don chisciotte. |
a suo fratello maggiore, con pretesto di chiedergli danari per sei cavalli, che a fine di riuscire più agevolmente nell’indegno suo proposito, egli comprò nel giorno medesimo in cui gli si offrì la opportunità di parlare a mio padre. Poteva io antivedere un tradimento? Doveva io nemmeno immaginarlo? No, certamente: che anzi con grandissima soddisfazione mi sono esibito di partire sull’istante, contento della compera ch’egli aveva fatta. In quella notte parlai con Lucinda, e le feci sapere ciò ch’erasi concertato fra me e don Fernando, e che sperasse lieta fine ai nostri buoni ed onesti desiderii. Ella (che al pari di me non nutriva il menomo sospetto del tradimento di don Fernando) mi raccomandò di ritornare al più presto, perchè confidava che le nostre brame non tarderebbero ad essere contentate se non quanto i nostri parenti tardassero ad abboccarsi fra loro. Non so qual pensiero le venisse in quel punto, ma nel finire quelle parole i suoi occhi si empierono di lagrime, la sua voce si estinse. Pareva che volesse dirmi ancora più cose, e che un gruppo le stringesse la gola per modo che ne rimase impedita.
“Questo nuovo incidente e sì inusitato, mi destò la più grande maraviglia perchè ogni volta che la buona sorte, e l’accortezza mia ci concedevano alcun colloquio, seguiva questo colla più viva gioia e soddisfazione, ben lungi dall’esservi immischiate lagrime, sospiri, gelosie, sospetti o timori. Io non faceva che gioire del fortunato destino che me l’aveva concessa amante e signora; io portava al cielo la sua bellezza, il suo merito ed il suo discernimento che mi rendeano estatico, ed essa me ne compensava con un perfetto ricambio, lodando in me tutto ciò che, come innamorata, le sembrava degno di encomio. C’intertenevamo parlando di alcune faccenduole de’ nostri vicini e conoscenti, nè mai aveva io osato più in là, che prendere quasi a forza una delle sue belle e bianche mani ed accostarla alle mie labbra, per quanto lo permetteva la ristrettezza di una bassa inferriata che ci divideva. La notte poi che precedette al giorno della mia partenza fu amareggiata dai suoi pianti e sospiri; dopo di che fuggì lasciandomi pensieroso ed attonito per avere veduti in lei indizii sì tristi e sì nuovi di afflizione. Tuttavolta non volendo distruggere io stesso le mie speranze, attribuii ogni cosa all’amore, ed alla forza di quel dolore che suol produrre la lontananza della persona amata. In fine io mi partii malinconico e pensieroso, coll’anima piena di ombre e fantasmi, senza sapere di che sospettassi o potessi temere: chiari presentimenti del tristo evento e della sciagura che mi erano apparecchiati!
“Giunsi al luogo dov’ero diretto; consegnai le lettere al fratello