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266 | don chisciotte. |
mente ragiona, e quel che peggio sarebbe, di poco sano intendimento: nè mi maraviglierei se ciò credeste, perchè veggo io stesso che la rimembranza continua delle mie disgrazie è di tal possa e tende siffattamente a perdermi, che senza ch’io valga a impedirla, rimango qual pietra onninamente priva di ragione e di buon senso. Di ciò m’avveggo quando taluni mi dicono e mostrano i segni delle cose da me fatte durante i formidabili accessi che mi predominano, sicchè non mi resta che dolermi inutilmente e maledire senza pro la sventura mia, e scolparmi alla meglio coll’accusarne la causa, rendendola palese a chi s’invoglia di esserne istrutto: chè certamente gli uomini di buon senno non potranno maravigliarsi che da cagione sì brutta nascano pessimi effetti; e se non vi potranno rimediare non me ne faranno colpevole per lo meno, convertendo anzi in commiserazione delle mie disgrazie lo sdegno in loro provocato dagli accessi della mia follia. Pertanto se voi, signori, vi siete qui condotti colla stessa intenzione di altri che ci vennero, prima di mettere in campo le vostre sagge persuasioni, pregovi di porgere orecchio al racconto delle mie disavventure, perchè quando le abbiate intese vi persuaderete che inutilmente procaccereste di temperare l’amarezza di un male incapace di raddolcimento„.
Que’ due non d’altro desiderosi che d’intendere dalla propria sua bocca la cagione per cui trovavasi a sì dolente partito, lo pregarono che loro ne facesse il racconto, offrendosi di non impiegar l’opera loro se non in ciò che credesse opportuno egli stesso a suo ristoro e rimedio. Con questa fiducia l’infelice cavaliere cominciò la dolente sua storia, ripetendola quasi con le stesse parole fin dove l’aveva pochi dì prima condotta quando ne aveva fatto a don Chisciotte e al capraio il racconto, che troncò poi ad un tratto per causa del maestro Elisabatte, e dell’avere voluto don Chisciotte sostenere il decoro della cavalleria, siccome ci ha fatto sapere la istoria. Volle dunque la buona ventura che a quel punto non fosse colto dall’accesso della pazzia ed avesse campo di poterne compire la narrazione: e quindi arrivato al passo del biglietto trovato da don Fernando nel libro di Amadigi di Gaula, soggiunse Cardenio, che lo teneva a memoria perfettamente, e ch’era così concepito:
- “Lucinda a Cardenio.
“Vo tutto giorno scoprendo i vostri meriti i quali mi obbligano e sforzano ad accrescere la mia stima per voi. Se volete disobbli-