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capitolo xxvii. 265


“Santa amicizia che lasciando la tua apparenza nel mondo, con leggiere ali salisti all’empireo soggiorno fra le anime benedette nel cielo;

Donde quando ti aggrada ci mostri la vera pace coperta di un velo, a traverso del quale traspar l’ardore delle buone opere che poi si fanno malvage;

Lascia, deh! il cielo all’amicizia, e non permettere che l’inganno vesta le tue sembianze, distruggendo così ogni sincera intenzione.

Se tu non le strappi la tua maschera, ben tosto il mondo si vedrà nel caos della primitiva discorde confusione„.


Un profondo sospiro diè fine a quel canto; e il curato e il barbiere rinnovarono la loro attenzione sperando che ripigliasse: ma udendo che la musica erasi convertita in singulti e in dolorosi lamenti procurarono di sapere chi fosse quest’infelice la cui voce era tanto delicata quanto n’erano dolorosi i sospiri; nè andò guari che girando dietro alla punta di un masso si avvennero in un uomo della statura e della figura descritta loro da Sancio quando fece il racconto dell’avventura di Cardenio. Quest’uomo, veduti che li ebbe, non fece alcun atto di maraviglia nè punto si mosse; ma si presentò loro innanzi come tutto assorto in gravi pensieri, con la testa inchinata al petto e senza mirarli, benchè colto all’improvviso. Il curato che sapeva dire acconciamente quattro parole (poichè non ignorava la sua disavventura, ed ai ricevuti contrassegni lo riconobbe), se gli avvicinò, e con brevi e molto prudenti detti lo pregò di abbandonare una vita infelice per non perderla fra quegli orrori; ciò che sarebbe stato il maggiore di tutti i mali. Era quello per Cardenio un lucido intervallo, quieto da quegli accessi furiosi che sì di frequente lo traevano fuori di sè medesimo; e perciò vedendo quei due in vesti non usate dagli abitatori di quelle solitudini, non lasciò di mostrarne qualche stupore, che in lui si accrebbe sentendosi parlare dei casi suoi come di cosa conosciuta pubblicamente: e ciò è quello che fatto aveva il curato col suo discorso. Rispose pertanto in questa maniera: — Conosco assai bene, o signori, chiunque voi siate, che il cielo che soccorre i buoni e talor anche i malvagi, a me v’invia senza mio merito in questi luoghi deserti e lontani dal commercio degli uomini; e comprendo che il fine a cui foste mandati si è di persuadermi con vere e sode ragioni che io debba abbandonare il presente mio tenore di vita: ma voi non sapete che togliendomi io dalle mie presenti sciagure incapperei in altre molto peggiori. Mi terrete perciò qual uomo che assai debol-


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