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capitolo xxvii. 263


In questa Sancio li sopraggiunse, e vedendoli travestiti a quel modo non potè contenersi dal ridere. Il barbiere aderì al desiderio del curato che dopo il travestimento gl’insegnò come dovesse contenersi e parlare a don Chisciotte per persuaderlo e costringerlo a seguitarlo, lasciando il soggiorno da lui scelto per compiere quella inutile penitenza. Lo assicurò il barbiere che avrebbe fatto ogni cosa per l’appunto, anche senza avere avuta la lezione, ma non volle subito travestirsi riserbandoci a farlo giunti che fossero dove stavasi don Chisciotte; e perciò tenne a parte i suoi panni. Il curato si adattò la barba, e proseguirono il viaggio, guidati da Sancio Panza, il quale diede loro contezza delle avventure del pazzo ritrovato nella montagna, tacendo però l’affare del valigiotto e di ciò che conteneva, perchè nella sua zotichezza non mancava di astuzia.

Arrivarono il giorno seguente al luogo dove erano sparsi i segnali dei rami che doveano guidar Sancio al padrone, e quando li riconobbe disse loro che quello era l’ingresso, e che poteano cominciare a travestirsi, posto che giudicavano che ciò fosse per tornar utile alla libertà del suo padrone. Questa dichiarazione di Sancio fu in conseguenza dell’avergli detto il curato ed il barbiere che mercè il concertato travestimento tolto avrebbero il suo padrone dalla trista vita che si era prescelta, raccomandandogli di non palesarli mai e di fingere sempre di non conoscerli. E qualora (come era ben naturale) gli domandasse se avesse ricapitata la lettera a Dulcinea, lo assicurasse di averlo fatto, ma che non sapendo essa leggere gli avea risposto a voce, dicendogli che gli comandava, sotto pena d’incorrere nella sua disgrazia, di andarne subito a lei per cosa d’importantissima urgenza. Erano persuasi che un comando di Dulcinea, congiuntamente a ciò che aveano essi divisato di fare, potrebbe ricondurlo a miglior condizione di vita; ed assicurarono Sancio che in questa guisa avrebbero posto il suo padrone sulla vera strada da farsi imperadore e monarca; perchè quanto al diventare arcivescovo non era da pensarci. Ascoltò Sancio ogni cosa, e se la impresse ben bene in testa, ringraziandoli vivamente della premura che si davano, affinchè il suo padrone diventasse imperadore e non arcivescovo, essendo egli convinto che per compensare largamente gli scudieri fossero più a proposito gl’imperadori che gli arcivescovi erranti. Soggiunse eziandio che sarebbe opportuno ch’egli li precedesse recando a don Chisciotte la risposta della sua signora, stimando che ciò basterebbe a farlo partire di là senza ch’eglino si prendessero altre brighe. Persuasi di questo, deliberarono di aspettarlo fino a tanto che ritornasse colle nuove