spose Sancio, dove stava la lettera per Dulcinea ed un ordine firmato dal mio padrone, con cui comandava a sua nipote che mi desse tre degli asini da lui lasciati in casa„: e a questo proposito contò loro come gli era stato rubato il suo. Lo racconsolò il curato, e gli disse che rivedendo il padrone poteva farsi rinnovare il mandato, e farselo scrivere in carta a parte com’era uso e costume, perchè nessuno avrebbe accettato e pagato un ordine scritto in un libro di memorie. Sancio si consolò in grazia di questo consiglio, e li assicurò che quando la cosa fosse in questi termini, non gli dava molto pensiero la perdita della lettera di Dulcinea, perch’egli la sapea quasi a memoria, e potrebbe dettarla di nuovo a loro beneplacito. — Fatecela dunque sentire, disse il barbiere, che ne allestiremo dopo una copia. Cominciò Sancio a grattarsi la testa per richiamarsi nella memoria la lettera, ed ora si poneva sopra un piede, ora sopra un altro, ora guardava la terra ed ora il cielo, e dopo di essersi rosicchiato mezza l’unghia di un dito, tenendo sospesi quelli che aspettavano di pur sentirla, passato non piccol tratto di tempo disse: — Il diavolo se ne porti quello ch’io mi ricordo di quella lettera: mi pare per altro che principiasse appunto così: Alta e tramenata signora. — Non avrà detto tramenata, ma sovrumana o sovrana signora: — Oh appunto così, disse Sancio. Ora se male non mi sovviene, proseguiva... se male non mi sovviene... non mi sovviene... il piagato e privo di sonno ed il ferito bacia le mani a vossignoria, ingrata e sconoscente bella: e non so che dicesse di sanità o d’infermità che le mandava; e andava discorrendo così all’incirca finchè terminava: vostro fino alla morte il cavaliere dalla Trista Figura. Si godettero assai nell’avere una prova della buona memoria di Sancio, e ne lo lodarono, pregandolo che recitasse la lettera altre due volte per impararla a mente eglino stessi, e poi scriverla in una carta a miglior agio. Tornò Sancio a ridirla tre volte, e replicò altrettante volte tremila bestialità, facendo sapere in aggiunta le cose del suo padrone, ma tacendo sempre l’avventura della coperta occorsagli appunto in quella osteria nella quale perciò non fu possibile indurlo ad entrare. Disse di più che allora quando il suo padrone ricevuto avesse riscontri favorevoli dalla sua signora Dulcinea del Toboso si sarebbe messo in viaggio per tentare di essere imperadore, o per lo meno monarca: ciò che aveano concertato insieme con lui, ed era molto facile a verificarsi per essere sì sterminato il valore della sua persona e la forza del suo braccio: che ciò accadendo, volea dargli moglie, perchè già a quel momento sarebbe rimasto vedovo (chè altrimenti ciò non potea essere), ed aveva stabilito dargli in consorte una donzella