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254 | don chisciotte. |
piacque al cielo di trarlo dai suoi travagli e dalle sue infelicità. Se questo è vero, come è verissimo, perchè debbo io darmi fastidio collo spogliarmi adesso ignudo ed importunare questi alberi che non mi recarono danno alcuno? E perchè intorbiderò la limpid’onda di questi ruscelli che debbono somministrarmi di che estinguere la sete allorchè io n’abbia d’uopo? Viva pure la memoria di Amadigi, e don Chisciotte della Mancia lo imiti in tutto per quanto si può: e si dirà di lui ciò che si disse dell’altro, che se non operò gran maraviglie seppe però morire per intraprenderle: e se io non sono nè disprezzato nè discacciato dalla mia Dulcinea, basterà, come ho detto, che me ne stia lontano da lei. Orsù dunque, mano all’opera: tornatemi a mente, o geste di Amadigi, ed insegnatemi ciò che debbo eseguire per imitarvi: la maggiore delle sue occupazioni era il fare orazione, e così farò anch’io„. Si mise allora don Chisciotte a pregare, valendosi per rosario di certe gallozze di sughero che infilzò a dieci a dieci. Gli doleva di non trovare un altro eremita che lo confessasse e con cui consolarsi: e però limitavasi a passeggiare pei prati scrivendo e intagliando nelle cortecce degli alberi e nella minuta arena molti versi analoghi alla sua tristezza ed alle lodi della sua Dulcinea. Quelli che si trovarono interi e si poterono leggere non furono che i seguenti:
“Alberi, erbe e piante, che siete in questi luoghi sì elevati verdeggianti e splendidi, se non vi diletta il mio male, ascoltate le mie sante querele. Il mio dolore non mi nuoca per quanto sia terribile; poichè in premio del soggiorno qui pianse don Chisciotte la lontananza da Dulcinea del Toboso.
“E questo è il luogo dove il più leale amante della sua donna si nasconde, venuto a tanta sventura senza saper come o perchè. Un amore avverso lo travaglia e si piglia giuoco di lui; e però don Chisciotte sparse qui tante lagrime da empirne una botte piangendo la lontananza da Dulcinea del Toboso.