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capitolo xxv. 249

che vada a sellare Ronzinante, e vossignoria si apparecchi a darmi la sua benedizione che ho divisato di partire subito subito senza vedere le pazzie ch’ella ha da fare, ma dirò di averne veduto a far tante che nulla più. — Almeno, o Sancio, io desidero, ed anzi è necessario che tu mi vegga ignudo fare una o due dozzine di pazzie; chè le farò in meno di una mezz’ora; perchè avendole tu vedute cogli occhi tuoi potrai nelle altre che vorrai aggiungere di più giurare in buona coscienza; e posso assicurarti che non ne dirai tante quante sono quelle che penso di mandare ad effetto. — Per amore di Dio, mio signore, non faccia ch’io la vegga ignudo, perchè non potrei per gran compassione trattenermi dal piangere; e dopo il pianto che ho sparso nella scorsa notte pel mio asino, ho ancora sì gran male alla testa, che non mi trovo ora in grado di sgorgare nuove lagrime. Se vuole vossignoria ch’io vegga alcuna delle sue pazzie le faccia bello e vestito, sien brevi, e come più le torna a comodo; ma già non occorrono con me queste cerimonie: e tanto più che questo farebbe ritardare il mio ritorno a lei, che dovrà seguire col recarle nuove quali le brama e le merita. Io la prevengo che se mai la signora Dulcinea non mi rispondesse a dovere, giuro per tutti i miei santi avvocati che le caverò dallo stomaco una buona risposta a calci e a pugna; perchè come si può tollerare che un cavaliere errante tanto celebre come la signoria vostra impazzisca senza verun motivo, e non per altro che per una?.. Non me lo lasci dire la signora... ch’io son da tale da non tenerla fra i denti, tuttochè ciò non sia molto prudente. Ella non mi conosce bene: che se sapesse chi io mi sia, tremerebbe a sentirmi nominare.

— Affè, Sancio, disse don Chisciotte, tu non sei troppo più savio di me. — Non sono tanto pazzo, bensì più iracondo: ma lasciamo a parte queste cose, e mi dica di grazia: di che si ciberà ella fino al mio ritorno? pensa forse di andare alla strada come Cardenio? — Non ti pigliare siffatte brighe, rispose don Chisciotte, perchè quand’anche fossi fornito di vettovaglie non mangerei se non erbe e frutta di questi prati e di questi alberi: giacchè il merito della mia risoluzione non consiste nel pascere il ventre, ma nel patire„. A questo rispose Sancio: — Sa ella, vossignoria, di che temo io? temo di non saper trovare la via da tornarmene a lei per essere questo un luogo troppo fuori dell’abitato e deserto! — Poni mente a’ segnali; chè io avrò cura di non allontanarmi da questi contorni, disse don Chisciotte, ed anzi procurerò di mettermi nelle alture di queste balze per veder se ti scopro quando ritornerai: e poi, la più diritta sarà, affinchè tu non erri e non ti scosti dal


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