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capitolo xxv. | 247 |
abbisogna a me egli è meritevolissimo e ne sa più assai di Aristotele. Lo stesso si può dire di me, o Sancio: tanto vale per quello che io mi sono prefisso Dulcinea del Toboso, quanto la più alta principessa del mondo, mentre io trovo in essa raccolte le qualità e i meriti tutti che vengono celebrati da’ poeti nelle cospicue signore che sono il soggetto delle loro lodi. Credi tu che le Amarilli, le Fillidi, le Silvie, le Diane, le Galatee, le Alicide, ed altre delle quali sono zeppi i libri, i romanzi, le botteghe de’ barbieri e i teatri delle commedie, fossero veramente in carne ed ossa, dame di coloro che le celebrarono? No certamente: ma i più se le fingono per materia alle loro poetiche composizioni, e per essere creduti innamorati od uomini che meritano di esserlo; ed a me basta credere che la buona Aldonza Lorenzo sia bella ed onesta, poco importandomi del lignaggio; perchè a giudicare i meriti della donna amata questa considerazione non c’entra, e in conseguenza io la tengo in conto della più gran principessa del mondo. Devi sapere, Sancio, se lo ignori, che due sole cose muovono più che le altre ad amare, e sono la molta bellezza e la buona riputazione; ed ambedue queste si trovano unite perfettamente in Dulcinea, perchè non ha chi la uguagli nell’essere formosa, e poche le stanno a paro nella riputazione. Per dir breve in somma io me la immagino tale che nulla le manchi; e me la dipinge la mia fantasia quale la bramo in bellezza e in fama: sicchè Elena non le si avvicina, nè le sta a petto Lucrezia, nè verun’altra delle donne celebrate dall’antichità, greche, barbare o latine. Dica ognuno ciò che gli pare, chè se venissi ripreso dagli ignoranti non verrò condannato dagli assennati. — Io dico che vossignoria ha ragione, rispose Sancio, e ch’io sono un asino: benchè non so perchè la mia bocca nomini asino quando non istà bene ricordare la fune in casa dell’impiccato: ma lasciamo questi discorsi, e vossignoria scriva la sua lettera„. Don Chisciotte trasse il libro delle memorie, e fattosi in disparte si pose a scrivere; poi nel terminare la lettera chiamò Sancio, e gli disse che gliela volea leggere perchè la ritenesse a memoria se per caso la perdesse nel viaggio, avendo ragione di temere tutto dalla sua disdetta. Cui Sancio rispose: — La scriva vossignoria due o tre volte nel libro, e mi dia quello ch’io lo porterò con tutte le cautele, ed egli è propriamente pazzia il solo immaginare ch’io possa tenere cosa alcuna nella memoria, la quale è così debole, che mi dimentico talvolta sino il mio nome; con tutto ciò me la legga pure, che me ne compiacerò assai, perchè mi figuro che sarà come stampata. — Ascolta, disse don Chisciotte; ella dice così: