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asino1 di ciò che mi viene in testa, e così tollererei la trista mia sorte. Ella è dura cosa e insoffribile questo andar cercando avventure per tutto il tempo della vita, e non trovare mai altro che bastonate, sbalzamenti di coperte, sassate, ladronecci e pugna, e dover inoltre tenersi cucita la bocca senza osar di dire ciò che si ha nel cuore, e restar mutoli sempre. — T’intendo, Sancio, rispose don Chisciotte, tu muori di voglia ch’io ti levi l’interdetto che ho posto alla tua lingua; tienlo per tolto e parla a tuo senno, a condizione però che non s’intenda fatta questa grazia se non fin tanto che andremo per queste balze. — Basta per ora ch’io parli, disse Sancio, chè Dio sa quello che di poi sarà per accadere; e cominciando a godere del beneficio del salvocondotto, disse: — Che importava a vossignoria di prendersi tanto impegno per quella regina Magimassa, o come si chiama? e che importava che quell’abate fosse suo innamorato o non lo fosse? Se la signoria vostra ci avesse passato sopra, da che ei non era giudice competente, sono certo che il pazzo avrebbe tirato innanzi la sua istoria, nè sarebbe venuta la sassata, nè il pugno, e poi un qualche sgrugnone in aggiunta. — In fede mia, Sancio, rispose don Chisciotte, che se tu sapessi come so io quanto onorata ed alta signora si fu la regina Madassima, loderesti sommamente la mia tolleranza nell’aver lasciato dar corso a quelle bestemmie: chè certo è gran bestemmia il dire od il pensare che una regina siasi abbassata ad amare un chirurgo. Il fatto si è che quel maestro, non abate come tu dici, ma Elisabatte, di cui parlò il pazzo, fu un uomo prudente e di molto savj consigli, ajo e medico della regina; e l’immaginare solamente che sieno corse fra loro parole amorose è sproposito degno di sommo gastigo; anzi affinchè tu vegga che Cardenio non seppe ciò che si dicesse, considera ch’egli era allora già preso da nuovo accesso di pazzia. — E perciò dico, rispose Sancio, che non si dovea fare il menomo caso della parola di un matto; perchè se la buona sorte non avesse ajutato la signoria vostra, e il sasso in vece di colpirla nel petto le fosse arrivato alla testa, ci saremmo trovati contenti assai d’aver voluto proteggere quella signora, che possa esser colta da mille cancheri col suo malanno! — Se è obbligato ogni cavaliere errante, soggiunse don Chisciotte, a sostener l’onore delle femmine di qualunque sorta

  1. Nel capo XXIII si racconta che Gines di Passamonte se ne menò l’asino di Sancio Panza. Pare che quel capitolo fosse aggiunto quando il libro era già compiuto, perchè in più luoghi trovasi ancora menzione dell’asino come se fosse stato sempre con Sancio. L’autore nella seconda edizione corresse, ma non pienamente, questa inavvertenza, della quale egli medesimo ride in qualche parte del suo lavoro.