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capitolo xxiv. 231

menti. Ma quando egli mi tenne questo discorso, aveva già (come seppi di poi) ingannata la contadina colla promessa del matrimonio, e cercava un’occasione di salvamento, paventando il risentimento del duca suo padre se fosse venuto in cognizione delle sue follie. Nei giovani suole l’amore non essere che un semplice appetito, il quale mirando unicamente al diletto, termina, soddisfatto che sia, e poi cangiasi in un sentimento che non può oltrepassare il termine che natura gli impose: termine che non si dà nel vero amore: e per queste ragioni anche don Fernando intiepidì ben presto nel suo affetto, e se fingeva da prima di allontanarsi per rimediarvi, ora procurava da vero di andarsene per non esser tenuto ad osservare la sua promessa. Ebbe la permissione dal duca il quale ordinò anche a me d’accompagnarlo; e così arrivammo alla mia patria dov’egli fu da mio padre accolto in quel modo che si conveniva ad un suo pari. Io rividi Lucinda, e si riaccesero i miei desiderii, che mai non s’erano nè spenti nè indeboliti, e ne feci per mia sventura consapevole don Fernando, sembrandomi che la legge della molta amicizia che mi dimostrava, mi vietasse di occultargli la menoma cosa.

Gli lodai la bellezza, il brio ed i talenti di Lucinda; e ciò feci di tal maniera che i miei encomii mossero in lui il desiderio di conoscere una donzella adorna di doti sì peregrine. Io stesso per estremo mio danno, secondai le sue brame, facendogliela vedere una sera al chiarore di un lume dalla finestra da cui solevamo parlarci. Vedutala, quantunque in semplice e dimesso abbligliamento, la giudicò superiore a quante bellezze avess’egli mai conosciute; ammutolì, divenne, per così dire, stupido e tutto assorto, e in fine innamorato sì ardentemente come vedrete nella seguente narrazione delle mie sventure. Per accendere maggiormente la sua passione (che mi teneva celata, non palesandola se non al cielo), volle la sorte che gli venisse alle mani un biglietto di lei con cui mi eccitava a domandarla a suo padre in isposa; ed era lo scritto sì rettamente concepito in ogni sua parte, così pieno di onestà e di amore, che dopo averlo letto egli mi disse che nella sola Lucinda vedeva uniti quanti pregi di bellezza e d’intendimento mai si trovarono sparsi in tutte le altre donne.

Debbo confessare ad onore del vero che conoscendo quanto giustamente don Fernando profondeva le sue lodi a Lucinda, mi era altrettanto grave di sentirle dalla bocca di lui, e sin d’allora cominciai ragionevolmente a temerne e ad esserne geloso. Non passava momento ch’egli non amasse di ragionare con me di Lucinda, ed era egli quello che cominciava il discorso, cercando pretesti per