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capitolo xxiii. 217

da un capo all’altro in versi alla mia signora Dulcinea del Toboso; perchè voglio che tu sappia, o Sancio, che tutti gli erranti cavalieri della passata età erano gran poeti e cantori; mentre queste due abilità (o grazie, per parlare più acconciamente), sono annesse agl’innamorati erranti, quantunque non possa negarsi che le canzoni de’ passati cavalieri erano quasi sempre più spiritose che belle. — Legga vossignoria quel che resta, disse Sancio, e troveremo di che soddisfarci. Voltò carta don Chisciotte, e disse: — Quest’è prosa, e sembrami che sia una lettera. — Lettera missiva? domandò Sancio. — Il suo principio indica amori, rispose don Chisciotte. — Legga dunque la signoria vostra, replicò Sancio, e legga forte, chè a me vanno a sangue le cose che trattano di amori. — Quanto mi piaci! disse don Chisciotte; e leggendola forte trovò che in essa così stava scritto:

La tua fallace promessa e la mia certa sventura mi strascinano in luogo d’onde ti arriveranno le nuove della mia morte prima che le ragioni delle mie querele. Tu, ingrata, mi posponesti a chi possiede più di me, non però più di me ti merita: ma se la virtù fosse stimata ricchezza, non invidierei le fortune degli altri, nè piangerei le sventure mie proprie. Quello che la tua bellezza avea fatto lo distrussero i tuoi portamenti. La prima mi fece credere che tu fossi un angelo; questi mi hanno fatto conoscere che sei donna. Restati in pace, sola cagione della tempesta in cui si trova il mio cuore; e piaccia al cielo che rimangano nascoste ad ognuno le frodi del tuo sposo, perchè tu non abbia a pentirti di quanto facesti, ed io non prenda vendetta di quello che non vorrei.

Terminata questa lettura, don Chisciotte disse: — Tanto dalla lettera quanto dai versi può argomentarsi soltanto che lo scrittore fu un amante disperato: e voltando e rivoltando quasi tutto il libretto trovò degli altri versi, alcuni che si potevano leggere ed altri no. Il contenuto loro non era se non querele, lamenti, differenze, gioie e disgusti, favori e sdegni, ricevuti gli uni con allegrezza, gli altri con pianto. Frattanto che don Chisciotte squadernava il libro, Sancio visitava il valigiotto con somma diligenza frugandone ogni angolo affinchè nulla scappasse dalle sue perquisizioni: tanto lo avean reso avido gli scudi trovati, che passavano i cento. Non trovò nulla più; ma tuttavia gli parve che non fossero stati senza un buon perchè lo sbalzamento della coperta, il vomito del beveraggio, le benedizioni delle stanghe, le spuntate del vetturale, il latrocinio delle bisacce, la perdita del gabbano, il furto dell’asino, e tutta la fame, sete ed affanni che avea sofferti in servigio del suo buon padrone; sembrandogli che di tutto lo compensassero le cose allora trovate.



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