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capitolo xxii. 203


ducati al mio comando. — Te ne darò venti ben volentieri, disse don Chisciotte, per liberarti da questa disgrazia. — La vostra esibizione, disse il galeotto, mi giova tanto quanto i danari ad un uomo che sta per morir di fame in mezzo al mare, e non sa dove provvedersi il vitto. Se avessi potuto avere a tempo i venti ducati che adesso mi offrite, mi sarebbe stato facile di ungere la penna del cancelliere, o di ravvivare l’ingegno del procuratore per modo che oggi passeggerei tranquillamente la piazza di Zoccodovar in Toledo in vece di battere questa strada menato così come un cane; ma Dio è grande; pazienza, e basta„.

Passò don Chisciotte al quarto, ch’era uomo di venerabile aspetto, con barba bianca che gli discendeva fino alla cintura; il quale nell’udirsi domandare la cagione di quel suo stato, si pose a piangere, nè rispose parola; ma il quinto condannato gli servì d’interprete, e disse: — Quest’onorevole uomo se ne va alla galera per quattr’anni dopo essere stato condotto per le strade pomposamente vestito a cavallo. — Questo vuol dire, soggiunse allora Sancio Panza, che è