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prologo. 3


che chiamasi volgo, quando vegga che dopo sì lungo tempo da che dormo nel silenzio della dimenticanza, ora che ho tant’anni in groppa1, esco fuori con una leggenda secca come un giunco marino, spoglia d’invenzione, misera di stile, scarsa di concetti, mancante di ogni erudizione e dottrina, senza postille al margine, e senz’annotazioni al fine del libro, di che vedo ricche le altre opere, tuttochè favolose e profane, e zeppe di sentenze di Aristotele, di Platone, e di tutto lo sciame dei filosofi, onde ne avviene che restano meravigliati i lettori, e tengono gli autori nel più gran conto di dottrina, di erudizione, di eloquenza? Citando la divina Scrittura si fanno credere altrettanti santi Tommasi e nuovi Dottori della Chiesa, conservando in ciò un sì ingegnoso decoro che in una riga ti rappresentano un innamorato perduto, e nell’altra ti fanno un sermoncino cristiano, ch’è una consolazione l’udirli o il leggerli! Deve di tutto ciò essere spoglio il mio libro, poichè non ho che citare nel margine, o che annotare nel fine, nè so di quali autori mi valga in comporlo; e così non posso affibbiarveli al principio, come da tutti si pratica, per le lettere dell’abbiccì, cominciando con Aristotele, e terminando con Senofonte e Zoilo o Zeusi, benchè l’uno sia stato un maldicente, l’altro un pittore. Ha pur

  1. Il Cervantes aveva cinquant’anni allorchè pubblicò la prima parte del don Chisciotte.