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capitolo xxi. 191


cavallo! — Io non piglierò mai il costume, disse don Chisciotte, di spogliare quelli che restano da me vinti, nè è stile della cavalleria torre loro i cavalli e lasciarli andare a piedi, quando però non fosse che il vincitore avesse perduto il suo nel cimento, mentre lice in tal caso prendersi quello del vinto come guadagnato in battaglia onorata e in guerra giusta; tu dunque, o Sancio, devi lasciare questo cavallo, od asino che sia, come più ti piace, in piena libertà, perchè quando il suo padrone ci vegga di qua allontanati, venga a ripigliarselo a suo talento. — Dio sa, replicò Sancio, quanto grande è la voglia ch’io ho di menarlo via, od almeno di cambiarlo col mio che non mi par tanto buono! Sono veramente troppo rigorose le leggi della cavalleria se vietano pur anche di cambiare un asino per un altro; e dicami almeno se potessi cambiarne i fornimenti? — Non sono di ciò ben sicuro, rispose don Chisciotte, e in caso di dubbio e finchè me ne informi con esattezza tu puoi barattarli se hai estrema necessità. — Tanto estrema, rispose Sancio, che se dovessero servire per mio proprio uso non potrei averne maggior bisogno„. Dopo di ciò, autorizzato dalla detta licenza, fece mutatio capparum, e mise il suo giumento in punto di piena lindura, migliorando in terzo e in quinto. Fatto questo, mangiarono gli avanzi della provvisione tolta ai preti; bevettero dell’acqua delle gualchiere, nè si voltarono mai per guardarle, in tanto odio le avevano per la passata paura. Incantata poi, come suol dirsi, la nebbia, e mandata via la malinconia, salirono a cavallo, e fedeli all’usanza degli erranti cavalieri, senza prefiggersi un determinato cammino, si misero in viaggio all’arbitrio di Ronzinante, che colla volontà del padrone signoreggiava eziandio quella dell’asino da cui era seguitato con fratellevole amore. Trovaronsi quindi senza volerlo sulla strada maestra, per la quale avviaronsi alla ventura senz’altro divisamento.

Cammin facendo disse Sancio al padrone: — Mi permette, vossignoria, ch’io parli alcun poco con lei? Chè dappoi ch’ella m’ha fatto quell’aspro comando del silenzio, mi si sono putrefatte nello stomaco più di quattro cose; ma una sola che tengo adesso sulla cima della lingua non vorrei che la andasse a male. — Dilla, rispose don Chisciotte, ma sii breve, chè un discorso lungo non può mai dar piacere. — Io dico dunque, o signore, ripigliò Sancio, che da alcuni giorni in qua ho considerato quanto poco si guadagna e si avanza andando in traccia di queste avventure che vossignoria va cercando per questi deserti e crocicchi di strade, dove anche, superando e vincendo le più pericolose, non vi ha nè chi le vegga, nè chi le sappia; e così restano in perpetuo silenzio con pregiudizio della intenzione di vossignoria e del loro intrinseco me-