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capitolo xxi. 187


rità della notte. Ti dico questo, perchè se non m’inganno, si avanza ver noi un uomo che porta in testa l’elmo di Mambrino per cui io feci il giuramento a te noto. — Pensi bene la signoria vostra a quello che dice, e più ancora a quello che fa, rispose Sancio; chè non vorrei che fossero nuovi magli di gualchiere che finissero di gualchierare e manomettere i nostri sentimenti. — E che diavolo vai tu dicendo? replicò don Chisciotte; non v’ha forse gran differenza da un elmo alle gualchiere? — Io non ne so nulla, replicò Sancio, ma davvero che s’io potessi parlare come facevo ne’ giorni scorsi, io le direi tali e tante ragioni da far toccare con mano alla signoria vostra ch’ella s’inganna nella sua supposizione. — Come può esser ciò, sciocco e vigliacco che sei? lo interruppe don Chisciotte; dimmi: non vedi tu quel cavaliere che ci viene incontro sopra un cavallo leardo rotato, e che porta in testa un elmo d’oro? — Quello che veggo e discerno, rispose Sancio, altro non è se non un uomo che cavalca un asino bigio simile al mio, e che porta sul capo qualche cosa che riluce. — Quello appunto è l’elmo di Mambrino, disse don Chisciotte: mettiti da una banda, e lasciami solo con lui, e vedrai che senza far una parola e senza perdere un momento di tempo io do fine a quest’avventura, e divengo possessore dell’elmo da me tanto