Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/190

172 don chisciotte.


dore di ferri e catene, che frammisto al furioso rombazzo dell’acqua, avrebbe messo paura in ogni altro cuore che non fosse stato quello di don Chisciotte. Era, come si è detto, oscura la notte, e il caso li portò fra alberi altissimi, le cui frondi, mosse dal vento, producevano un altro mormorio piacevole e pauroso ad un tempo; di qualità che tutt’insieme la solitudine, il sito, l’oscurità, il susurro delle acque, lo stormir delle foglie, tutto cagionava orrore e spavento. E tanto più poi considerando che nè le botte cessavano, nè il vento taceva, nè il giorno era vicino, nè oltre a questo sapevano in che luogo si trovassero.

Don Chisciotte però, animato dall’intrepido suo cuore, salì sopra Ronzinante, e imbracciando la rotella diè di piglio al suo lancione, dicendo: — Sancio mio, hai da sapere che io nacqui per favore del cielo in questa età nostra di ferro per fare rivivere quella dell’oro o l’età dorata siccome noi siamo soliti nominarla. Quegli son io a cui riserbati sono i perigli, le alte imprese ed i memorabili avvenimenti; quegli son io cui si aspetta di far rinascere i tempi della Tavola Rotonda, dei dodici Paladini di Francia, dei nove della Fama; quegli per cui debbono essere obbliati del tutto i Platiri, i Tablanti, gli Olivanti, i Tiranti, i Febi ed i Belianigi con tutta la caterva de’ famosi cavalieri erranti dell’antica età, facendo in questa nella quale mi trovo tanto grandi azioni, tanto straordinarie cose e fatti d’arme da oscurarne i più celebri finora uditi. Poni ben mente, fedele ed accorto scudiere mio, alle tenebre di questa notte, al suo silenzio profondo, al sordo e confuso rombare di questi alberi, allo strepitoso mormorare di quell’acqua che siam venuti cercando, e che sembra precipitarsi dagli alti monti della luna, ai colpi incessanti che ci feriscono con tanta pena gli orecchi; cose tutte qui raccolte, ognuna delle quali saria bastante da per sè sola a metter tema, paura e spavento nel petto istesso del dio Marte, e tanto più dunque in quello di chi non è avvezzo a così fatti avvenimenti ed incontri. Or bene: tutte queste cose che io ti vengo mettendo in considerazione, sono incentivo e stimolo all’animo mio; e già il cuore mi si gonfia nel petto pel desiderio che ho di affrontare quest’avventura per quanto pericolosa si mostri; perciò ristringi un poco le cinghie a Ronzinante, poi rimanti con Dio, ed aspettami qua non più di tre giorni; compiti i quali, se non mi rivedi, torna alla nostra terra, e giunto che vi sarai, ti prego per favore e per grazia di recarti al Toboso, dove dirai alla incomparabile signora mia Dulcinea, che il cavaliere suo schiavo è morto per essersi accinto ad impresa che lo rendesse degno di chiamarsi suo prigioniere„. Quando Sancio sentì parlare in tal guisa il padrone, si mise a piangere colla maggior commozione del mondo, e gli disse: — Signore,